PREFAZIONE

Tempo fa un nostro conoscente ci recapitò un voluminoso e malridotto brogliaccio, rifilandoci al proposito una storia, invero, di dubbia attendibilità. Era, sosteneva, li manoscritto di un suo avo, fortunosamente riemerso alla luce e alla posterità in circostanze sulle quali preferiva mantenere la riservatezza che si addice ad un gentiluomo. E fu talmente fermo nel suo proponimento che passarono ben cinque minuti prima che si decidesse a raccontarci tutto. La cosa era andata così, a suo dire. Mentre si trovava negli scantinati del palazzo di famiglia e sospingeva una fanciulla sull'improvvisato giaciglio, la donzella aveva levato altissime grida, punta se non dal pisello - era costei non principessa, ma figlia della fantesca - da qualcosa di comunque duro che le penetrava da tergo. Si trattava, come subito si appurò, di uno spigolo del famigerato quaderno, finito chissà come fra le pieghe della coperta polverosa. Ultimate le operazioni e curioso di altro godimento, l'amico si era dato alla lettura dell'opera trovata, scoprendola di tale piacevolezza da volerla sottoporre al nostro giudizio, conoscendoci per persona interessata a cose di tal fatta. Ora, in tutto questo racconto, l'unica parte di qualche verosimiglianza era la sua tresca con la figlia di una serva; essendo egli per il resto soggetto cui, se difettavano i soldi, non mancava certo la fantasia. Il suo lignaggio (aveva ascendenti marinai e contadini, di casati ben poco nobili) rendeva già improbabile il possesso di un palazzo avito. Che poi tra gli antenati ci fosse qualcuno in grado di leggere, e addirittura di scrivere versi, era cosa al di sopra di ogni credibilità.

II quaderno, tuttavia, presentava delle stimmate di autenticità. Era rosso, anche sui bordi - un modello in uso dall'ottocento fino a non molti anni fa, ma pare che torni di moda - e parecchio rovinato, vuoi dall'uso, vuoi dagli anni e dall'incuria di chi avrebbe dovuto custodirlo. II contenuto, invece, ci lasciò molto perplessi. Anzitutto perché era rimasto, per qualche sorta di miracolo, intatto e comprensibile, pur essendo trascorso oltre un secolo (1848, si leggeva da qualche parte); poi perché, mentre alcuni componimenti sono, per l'argomento, "senza tempo" e quindi attribuibili anche ad epoche passate, in altri sembra di notare strani riferimenti all'attualità. La qual cosa, è evidente, rende incerta la datazione del manoscritto e la personalità stessa dell'estensore. Per cui non ci sentiamo di escludere che qualcuno, trovato un vecchio quaderno, ne abbia riempito le pagine con apocrifi "d'autore"; o che comunque abbia utilizzato dei fogli rimasti bianchi nel brogliaccio originale, per infilarci di soppiatto qualche "falso". Il tarlo del dubbio, il sospetto di una solenne burla rifilataci dal nostro conoscente ci ha lungamente assillato, e continua a tormentarci. Alla fine, confortati dalla convinzione che questi versi - anche se non autentici riguardo a epoca e autore - non avrebbero fatto male a nessuno; che rappresentano tuttavia una testimonianza dell'animo sanvitese; e che sarebbero stati, a dire il vero, poca cosa rispetto a ben altri falsi (quali i manoscritti del mar Morto, i bilanci del governo e gli impegni della DC) ci siamo decisi a pubblicarne un certo numero. Restava un problema da risolvere, il titolo. Sulla copertina del quaderno era attaccata un'etichetta bianca, una di quelle col riquadro che ancora s'usano da qualche parte. Sopra era scritto ad inchiostro qualcosa, probabile si trattasse del titolo della raccolta di versi. Ma l'etichetta era a tal punto consunta, dal tempo dagli sfregamenti dalle muffe, che dell'iscrizione originaria non era rimasto quasi niente, eccetto qualche lettera sparsa, e anch'essa poco o punto leggibile. Con molta difficoltà, siamo riusciti a isolare alcuni di questi residui, e ne è uscito fuori qualcosa come: SC M D TT ! Che significava, cosa mettere al posto delle lettere mancanti? Dato il tipo di poesie contenute nel quaderno - quasi tutte in forma di dialogo - la prima idea è stata quella che il titolo potesse essere: "CCUSCì M'A' DETTE!" e, benché non molto convinti, stavamo per riproporlo su questa edizione. Ma scorrendo le pagine, ci siamo ad un certo punto imbattuti nel nome dell'autore: Salvatore Di Pilose*. E allora non abbiamo avuto più dubbi, il titolo non poteva essere che: "SCIMMADETTE!". E perciò si chiama così, come l'autore volle, questa raccolta di versi.

Il Curatore (Antonio Giannantonio)

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* Figura leggendaria della tradizione sanvitese: Salvatore di Pilose, tutt'a esse succede li cose.

 

ISTRUZIONI PER L'USO.

1) Abbiamo Introdotto delle note a fondo pagina, per spiegare II significato di una parola o di una espressione. Purtroppo II dialetto viene sempre più soppiantato, non affiancato dall'Italiano (spesso quello abominevole di certi personaggi televisivi) e alcuni termini rischiano di essere incomprensibili, specie alle nuove generazioni. Inutile dire che abbiamo fatto queste "traduzioni" con rammarico e profonda tristezza, limitandole al minimo. Ma tant'è, i tempi mutano e noi cambiamo In essi. Se poi qualcuno trovasse ancora difficoltà, esca un po' più di casa e, almeno a San Vito, parli come mangia...

2) Le cifre che compaiono a fianco delle strofe Indicano il numero del verso e servono come riferimento per le note a piè di pagina. La nota che inizia col numero 6 si riferisce al sesto verso, e così via.

3) AIcune volte sono riportate delle date, tipo agosto '92: si riferiscono al secolo scorso, quindi 1892, naturalmente...