I sanvitesi attraverso i secoli

   Il 28 febbraio 1443 Alfonso 1° d'Aragona riunì in Napoli i Baroni del regno allo scopo di trovare un sistema migliore, in luogo delle "collette" angioine, per avere una rendita più certa ed una tassazione delle famiglie più generalizzata. Venne così istituita la numerazione per "fuochi". Ogni fuoco costituiva una famiglia, poichè era ritenuto, il focolare, il centro di un nucleo familiare. Per quel che riguarda in particolare San Vito sappiamo che nel 1532 la tassa fu di fuochi 75 (circa 400 ab.), nel 1545 di 83 fuochi (420 ab. circa), nel 1561 di 117 ( 600 ab. circa), nel 1595 di 104 (520 ab. circa), lo stesso numero nel I648, nel 1669 di 92 fuochi corrispondenti a circa 460 abitanti. E' da rilevare l'estrema difficoltà nel reperire notizie più precise soprattutto per la precarietà in cui versano molti, molti archivi e in modo particolare quelli più interessanti per uno studio demografico, vale a dire l'archivio comunale e quello parrocchiale. Andando avanti negli anni arriviamo al 1780 anno in cui ritroviamo dopo il 1669, notizie precise sulla popolazione di San Vito. Nel 1780 la nostra cittadina possedeva un "centro" rappresentato dalla comunità vivente all'interno delle mura del castello con un sito denominato "Castello" e quattro rioni chiamati "Primo, Secondo, Terzo e Quarto Vico". Al di fuori delle mura esistevano due sobborghi: " Sobborgo del Salvatore" verso il mare e "Sobborgo San Vito" verso l'entroterra. Le campagne, la marina ed altri luoghi circostanti erano genericamente indicati col termine di "Agrorum Dominibus". Nel suddetto anno 1780 gli abitanti di San Vito erano 1662 ripartiti in 269 nuclei familiari. All'interno delle mura del castello nel luogo detto "il Castello"  vi erano 20 famiglie per 130 ab., nel "Primo Vico" 29 famiglie per 190 ab., nel "Secondo Vico" 19 famiglie per 91 abitanti, nel "Terzo Vico" 17 famiglie per 111 ab., nel "Quarto Vico" 36 famiglie per 216 ab.. Al di fuori delle mura, nel Borgo del Salvatore vi erano 62 famiglie per 407 ab. e nel Borgo di San Vito 65 famiglie per 391 ab.. La parte restante del territorio comunale era occupata complessivamente da 19 famiglie per 127 ab.. Inoltre, nella Torre costiera, costruita a difesa del porto, vi erano quattro soldati appartenenti alla "Compagnia degli Invalidi": Domenico lavisi di Bari, Camillo Morfeo di Salerno, Domenico Romano di Campobasso e Angelo Cuoco di Napoli. Da notare l'enorme crescita nel numero degli abitanti successivamente alla metà del '600: ciò è dovuto soprattutto alla formulazione dei "Capitoli" del comune di San Vito che garantivano un minimo rispetto delle leggi. Inoltre vi fu una forte immigrazione dai paesi vicini con nuclei familiari molti dei quali sono restati: Annecchino, Bucco e Di Tommaso da Fossacesia, Di Loreto e Cantelmo da Vasto, D'Angelo e Berghella da Treglio, De Nino e Marcantonio da Bucchianico, Della Macchia da Francavilla, Di Giuseppe da Frisa, Pagliarone da Gissi, Chiarini da Senigallia, Nenna da Trani e numerosi da Ortona come Olivieri, Nucciolino, Palermo, lezzi, Tullio, larlori, Patone, Bozzelli. Un ramo dei Iavicoli proveniente da Castiglione Messer Marino ed un altro da San Buono. Le notizie riportate sono solo uno stralcio, e come tale non completo, di uno studio che conduco da anni nella speranza di rifare la storia di SAN VITO.

  Continuando il nostro discorso sulla storia del nostro paese analizziamo ora, in generale, il dominio di altri popoli dalle origini. Le prime conoscenze risalgono al periodo romano quando, dopo la sconfitta dei Frentani, le legioni romane presero possesso della nostra zona. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare esistono molti resti di questa presenza, che faticosamente si sta cercando di portare a conoscenza della cittadinanza, nonostante lo scarso interesse mostrato da parte dell'amministrazione comunale. Spero comunque che si arrivi ad una conferenza di studio su ciò che è stato il nostro passato e che naturalmente potrà diventare un punto di partenza per uno sviluppo culturale e, in ultima istanza, per richiamo turistico della nostra cittadina.

   Tornando alla storia possiamo con certezza affermare la presenza massiccia dei romani, specialmente nella zona che corre lungo il versante sud della Murata fino al mare dove esisteva (ed ora vi sono resti importanti) un bagno pubblico ed uno scalo marittimo di notevole importanza. Il suddetto bagno era quadrangolare e di circa 20 metri di lato col rivestimento di preziosi mosaici. Serviva a raccogliere l'acqua proveniente dai colli circostanti per un tratto di circa cinque chilometri e da qui una conduttura in terracotta riforniva di acqua potabile il porto di Ortona. Oltre a ciò resti di arte romana come resti di anfore, vasetti finemente lavorati e monete sono stati rinvenuti non solo in questa zona, ma anche più a sud del territorio di San Vito e verso l'entroterra. Successivamente San Vito subisce la dominazione longobarda di cui rimangono i resti del castello e dei toponimi come "gualdo" che significa bosco e che identificava la zona del porto ricavato appunto in una vallata fitta di vegetazione ed in cui scorazzavano allora numerosi cinghiali. Si arriva così al 942 anno In cui San Vito passa sotto il dominio dei Benedettini prima di Termoli e successivamente di San Giovanni in Venere e che durò fino al 1385, anno in cui, per vicende che non posso qui riferire per ragioni di spazio, il territorio di San Vito fu concesso in enfiteusi a Lanciano, che lo tenne fino al 24 giugno 1554, quando fu venduto, insieme a Paglieta, a Martino de Segura, presidente della Regia Camera di Napoli. In seguito Ferrante Caracciolo, principe di San Buono, accrebbe ancora i suoi feudi abruzzeso-molisani con l'acquisto, per 8100 ducati, di San Vito e Agnone. Ricordo che i Caracciolo possedevano già Castel di Sangro, Bucchianico, Monteferrante, Belmonte, Castiglione Messer Marino, Collerotondo, Schiavi, Fraine, Roccaspinalveti, Carunchio ecc... . Marino Caracciolo, figlio di Ferrante, firmò i capitoli dello Statuto comunale della Università (come allora si era soliti chia-mare un comune) di San Vito e dai quali possiamo trarre deduzioni interessanti quali l'aumento demografico che ne seguì, dovuto soprattutto ad una immigrazione abbastanza rilevante di gente che si sentiva protetta da un minimo di legge. Inoltre il peso fiscale che si pagava annualmente al padrone, valutabile sui 200 ducati, che, rispetto ai tempi, non era molto gravoso. Dallo stesso Statuto si rileva anche che i proprietari di terre erano ancora vecchie famiglie di San Vito come i d'Orazio, de Nardis, Flamminio, Di Cintio, Natarelli, de Sanctis, Mancini, Bianco, Marrone, Altobelli, di Francescantonio, della Fazia.

   E' nel 1799, inizio della dominazione francese (verso i quali alcuni signorotti si schierarono subito a favore) che molte di queste famiglie si ritrovarono spogliate dei loro possessi. Addirittura alcuni pagarono con la vita l'opposizione all'invasione francese, come la famiglia della Fazia, di cui un certo Filippo, allora capo della popolazione di San Vito, fu portato a Napoli e ghigliottinato. A quest'epoca comincia il potere dei Tosti e la decadenza dei della Fazia, colpiti a più riprese e di cui ci occuperemo nel prossimo "flash" sulla storia del nostro paese.

   Ci eravamo lasciati nel numero precedente al momento in cui l'amministrazione di San Vito passa nelle mani di Gennaro Tosti e della lotta che si instaurò fra questi e i Della Fazia. Nel 1874, alla fine del suo mandato quinquennale, il sindaco Tosti fa pubblicare un opuscolo cercando di coprire tutte le manchevolezze commesse durante la sua gestione del Comune di San Vito. Purtroppo per lui non fu creduto neanche dalle autorità provinciali, che, con una lettera riservata, lo invitarono addirittura a ritirare la propria candidatura alla Provincia. Contemporaneamente i Della Fazia ne approfittarono per denunciare pubblicamente tutti gli sprechi e gli interessi privati che caratterizzarono la sua amministrazione. In particolare fu accusato di aver costruito un Cimitero in pendenza, interamente breccioso, cedendo il suddetto terreno da un podere di affezione facendolo valutare £. 800 in luogo di £. 400 e facendo proprio tutto il legname degli alberi che vi erano; di aver costruito la strada per il fosso San Tommaso al solo scopo di collegare un fondo del Sindaco in contrada Anticaglie (ed in effetti giunti allo sbocco del suo viale i lavori furono sospesi); di aver costruito opere pubbliche di costo superiore a £. 500 tramite il Comune e non in appalto come prevedeva la legge (la nuova piazza ebbe un costo di £. 10.121); di aver preso £. 180 dalla cassa del Comune per recarsi a Roma a salutare il Re Vittorio Emanuele; che suo figlio don Peppino per la costruzione della strada che porta a Rocca San Giovanni, intascava 4 lire al giorno solo per firmare i biglietti di chiamata degli operai; di essersi appropriato di £. 500 mandate dal Governo per aiuto ai poveri per l'inondazione del 1874.  Continuando in queste pubbliche accuse si fa cenno anche al suo carattere ambizioso e senza alcun colore politico ricordando che dal 1848 al 186O nonostante i vari cambiamenti a livello nazionale riuscì, tramite una serie innumerevoli di intrighi e di raccomandazioni, a restare sempre a galla ottenendo decorazioni e incarichi ora dall'uno ora dall'altro governo.

   Giovanni della Fazia, medico condotto, fu costretto a recarsi ad Ortona per continuare la propria professione nonostante che in San Vito "era tenuto in palma di mano" e gli elogi ricevuti in seno al Consiglio Comunale. Il Della Fazia riceveva lo stipendio semestralmente, mentre da capitolato era previsto mensilmente. Erano colpiti come lui il fratello Domenico, maestro elementare, ed una maestra mentre gli altri impiegati ricevevano regolarmente lo stipendio. Chi lo difese in Consiglio fu solo il Cav. Dazio, il quale mise l'accento anche sulla possibilità che il comportamento del Tosti poteva derivare da una specie di ripicca elettorale in quanto il Della Fazia aveva negato il suo voto a Gennaro Tosti. Per aver un'idea dell'attrito violento che si era creato fra il Tosti e il Della Fazia riportiamo qui di seguito la parte conclusiva della risposta di Giovanni della Fazia alle accuse del Tosti: "Confessate, Sig. Sindaco, che voi mi volevate fuori, ma voi solo. Confessate in ultimo, che, non essendovi riuscito sbalzarmi di sella, venite ora con un discorsetto ed un volume di alligati a diffamarmi con le copie e le stampe spedite qui in Ortona, ove ricomincio la mia clinica. Ed ora la melma a chi spetta!! Concittadini, a voi il giudizio fra me e il Sindaco, e poiché la coscienza non mi rimorde, non posso non rassicurarmi d'averlo a mio pieno vantaggio".

   Nella puntata precedente si è illustrata la lotta che nel periodo 1869/74 si è illustrata la lotta tra l'allora sindaco Gennaro Tosti ed il medico condotto Giovanni della Fazia. Il sindaco Tosti prese di mira anche il fratello di Giovanni, Domenico della Fazia che fin dal 1864 era maestro elementare nella locale scuola. Il Tosti cercò di gettare discredito sul della Fazia soprattutto a causa di rivalità politiche. E' bene ricordare, a questo punto, che i della Fazia a San Vito capeggiavano un partito liberal-socialista e che negarono il voto per l'elezione a sindaco del Tosti. Nel novembre del 1872 Domenico della Fazia si vede costretto a difendersi pubblicamente dalle accuse del sindaco, il quale aveva dichiarato alla stampa che "il della Fazia capitanando un partitino impotente sperava di rovesciare I'amministrazione per giovare a sé e a suo fratello Giovanni e che non bisognava far credere ai paesi vicini che il Municipio ce l'avesse con loro per il voto negato al sindaco". Domenico della Fazia risponde che anche se si tratta di un "partitino questo è composto da persone prive di ambizioni e interessi personali. Si può essere anche pochi, ma non meschini e portare avanti impegni talmente nobili da rinunciare tranquillamente ad impieghi ed intrallazzi per relazioni familiari".

   Alla riapertura dell'anno scolastico 1872/73 nonostante il capitolato del comune e la delibera del consiglio provinciale scolastico, Domenico della Fazia non si vede assegnare il locale corrispettivo. I mobili che aveva ricevuto in consegna e quindi controfirmati furono spostati in un'altra classe, affinchè il Tosti potesse accusare il della Fazia di non averne tenuto cura. Il Tosti infatti ne approfittò per denigrare pubblicamente in sede di consiglio comunale il della Fazia anche se lo stesso Consiglio Comunale respinse i fatti raccontati dal Tosti come "improntati e bugiardi". Non si può, diceva il della Fazia, accettare che "da questo Municipio, donde ora scoppia il crucifige per me, ne usciva una volta  l'osanna". La lotta tra le due famiglie non terminò nel 1874 ma continuò ancora per altri decenni anche se non pubblicamente. Tutto il paese era comunque pervaso da questa diatriba e da molti documenti si evince che da un lato una famiglia di origine nobile (sia culturalmente che storicamente) come i della Fazia mal sopportavano di essere sottomessi e denigrati in quel modo e dall'altro i Tosti, nuova famiglia potente (che non aveva origini nobili come altre di di San Vito), che non desideravano avere alcuna opposizione alla propria supremazia sia politica che soprattutto finanziaria agendo spesso in modo machiavellico. Nel prossimo numero tratteremo in modo particolare l'ambiente del porto di San Vito che fin dall'inizio rappresentò un nodo focale di tutto lo sviluppo storico della nostra cittadina.