Vi riporto un articolo che Domenico Policella pubblicò su "La Ginestra" dell'agosto 1992 e col quale illustrava una giornata a San Vito Marina negli anni '30.
Uno scorcio interessante della vita di allora.
Una giornata a San VitoNegli anni 3O, almeno una volta la settimana, mio padre portava a S.Vito Marina la sua mercanzia (carbone vegetale, carbonella, "ruscia", legna da ardere e fascine di ceppe) con un carretto trainato da un puledrino nervoso e scattante, che noi chiamavamo Moretto.
Durante l'estate, poiché ai numerosi clienti della Marina si univano i clienti dì Lanciano in villeggiatura, mio padre faceva anche tre o quattro viaggi la settimana; allora, portava anche me, sebbene fossi ancora un ragazzotto.
Egli si alzava molto presto, andava al magazzino e preparava il carico; poi andava a strigliare il cavallo e gli riempiva di biada "il bucco"; quindi veniva a casa a prendere il caffè ed ad aspettare che io fossi pronto e perfettamente desto.
Da via Valera, quasi dovevamo spingere il carretto sulla salita di Pozzo Bagnaro; all'Ospedale potevamo arrampicarci sul carico di sacchi, dato che la strada era pianeggiante o in discesa, fino alla Marina.
Mio padre aveva clienti dappertutto ed impiegava molto tempo a distribuire la merce; fra l'altro era un amabile conversatore con tutti gli acquirenti.
Durante le lunghe soste che facevamo nei pressi della Stazione ferroviaria, alle Fornaci, al "Cercone" (dove vi era una ragazzetta bellissima, di cui ero segretamente e pudicamente innamorato) al Villino Breber, all'Eremo Dannunziano, io dovevo restare accanto al cavallo e al carretto e un po' mi scocciavo.
Finita lì la distribuzione, perché la strada brecciata non andava oltre e tutti i sacchi erano vuoti, verso le due del pomeriggio andavamo vicino al porto, per mangiare qualcosa da Zia Camilla, che gestiva una cantina proprio sulla spiaggia.
Zia Camilla faceva un brodetto di pesce favoloso, che io mangiavo con grande piacere, ed un piatto di pastasciutta al pomodoro, che era la fine del mondo per tutti, eccetto che per me; io, infatti, odiavo assolutamente quella quantità incredibile di semi e di pellicine dei pomodori freschi che ella adoperava.
Prima di mangiare, comunque, io e mio padre facevamo il bagno e, per spogliarci e rivestirci, ci industriavamo a farlo tra le "paranze", che numerose affollavano la spiaggia ed utilizzando un paio di asciugamani.
I bagnanti veri e propri, che comunque erano di numero limitato, di solito portavano sulla spiaggia quattro robuste canne ed un paio di lenzuola bianche, con cui costruivano dei casotti che sembravano capanno indiane.
All'inizio del Molo, vi era una costruzione solenne ed elegante, che per noi era il Castello; un poco più in là, vi era sempre il gigantesco scheletro ligneo di un veliero in costruzione o di una grossa barca in riparazione.
Molte volte ho visto attraccare o salpare grandi barche o velieri a due o tre alberi certamente molto belli.
Da quei natanti spesso venivano scaricati a terra cavalli e somari, tronchi giganteschi e grandi pacchi di tavole o di juta; quando ripartivano, il carico era costituito da granaglie, legumi, lane, cotoni, telerie ed altri manufatti.
Tornavamo a casa nel tardo pomeriggio, lentamente.
Mio padre si stendeva sul carretto, e subito si addormentava; io reggevo le redini e credevo davvero di guidare il cavallo, il quale, per la verità, sapeva sempre scegliere meglio di me la strada giusta.
Qualche volte, durante il viaggio verso San Vito Marina, al passo o al piccolo trotto, venivamo sopraggiunti ed oltrepassati dal calessino elegantissimo guidato dal Barone Cocco e trainato da un focoso cavallo di razza.
Forse allora Morettino diventava rosso per la vergogna, mentre io e mio padre potevamo diventare rossi solo per il troppo sole che prendevamo durante il giorno per le vie di San Vito Marina.
Domenico Policella