Il "cicerchione"
Nel pomeriggio di domenica 13 febbraio è stato presentato al pubblico, nella piazza principale di San Vito una "cicerchiata gigante" del diametro di circa3 metri, una straordinaria, quanto singolare ed originale realizzazione, costata giorni di lavorio intenso ed impegno costante da parte delle donne de "La Ginestra".
L'avvenimento ha richiamato non pochi curiosi ed anche le televisioni locali hanno dato ampio risalto alla manifestazione che per la sua peculiarità ha richiamato alla mente lo "zuccotto" entrato ormai nel Guinness dei Primati realizzalo dai fratelli D'Alessandro qualche anno fa.
Nessuno si è provato a controllare il numero delle palline o "ceci" come è etimologicamente più giusto, ma chi ha realizzato il "tarallo" afferma, senza ombra di dubbio, che lo stesso ne conteneva non meno di 5O.OOO.
La "cicerchiata" sta al periodo di Carnevale come le "crespelle" o i "sciosci" a quello natalizio.
Il termine deriva da cicerchia, a sua volta proveniente dal latino cicer (cece), che identifica una pianta dai fiori che vanno dal bianco al blu e con i frutti simili a ceci o piselli e che viene coltivata e utilizzata come foraggio.
In molte regioni del Mezzogiorno, ed anche nel nostro Abruzzo, veniva utilizzata come base por la preparazione di un piatto dove, insieme appunto alle cicerchie, venivano cucinate frattaglie di agnello e di maiale.
La regione dove veniva consumato di più questo tipo dì pietanza era quasi sicuramente la Puglia, dove la coltivazione di questa pianta era molto diffusa.
Non a caso i bastimenti che alcuni secoli fa arrivavano nel nostro porto trasportavano spesso carichi di cicerchie provenienti dai porti pugliesi come Barletta, Trani, Bisceglie, Mola di Bari ecc. e solo in un secondo tempo, e rispetto alle origini, possiamo dire solo recentemente, il termine è passato ad indicare il dolce a base di palline fritte tenute insieme dal miele che tutti conosciamo.
L'adattamento è stato originato dalla affinità che i "ceci" del "tarallo" hanno con i cicer della pianta erbacea sopra descritta: sia per l'aspetto rotondeggiante e sia anche per il colore giallo ocra che assumono i suoi frutti.
Ciò che non è cambiato, nel periodo carnascialesco, è forse l'uso abbondante dell'uovo che ritroviamo anche nei maccheroni alla chitarra.
Il mangiare smodato di questo periodo, anche per quanto riguarda la carne (da cui il termine Carnasciale, appunto "scialare in carne") rappresenta anche l'ultima occasione ed anche l'addio alle pance piene prima di entrare nel periodo quaresimale dedicato, se non al digiuno, almeno ad una alimentazione senza eccessi.
La nota positiva, in questa piccola cronistoria, può essere certamente data dalla scomparsa di una fìlastrocca che in tempi remoti, ma non tanto, veniva intonata dai poveri sotto le case di chi economicamente non aveva problemi: "à cchi j'avanze le maccarune, ècche la panze pe sti siggnure o anche "chi tè li maccarune d'avanze, ècche qua la panze".
Antonio Iarlori