I sanvitesi ed il mare (10)
Il progetto, in effetti, fu approvato a condizione che lo stesso servisse “esclusivamente per l’uso cui viene costruito” e “venga ubicato alla distanza di cinque metri dalla Chiesa, siccome dichiarato nella stessa domanda, in modo da lasciare un conveniente passaggio, e che il muro di dietro del ripetuto magazzino, con facciata verso mare, dovrà essere sulla linea del muro di dietro della Chiesa – esclusa la Sagrestia e del fabbricato Scogna”.[1]
Nel 1928 possiamo dire che il porto era quasi completato ed anche il traffico commerciale dava segni di ripresa: nel 1927 giunsero al lido di San Vito soltanto quattro velieri con 73 tonnellate di merci e l’anno seguente il numero era già salito a 13 con un carico di 258 tonnellate. Sono cifre che non possono essere paragonate a quelle registrate negli stessi anni ad Ortona dove le infrastrutture portuali riuscivano ad accogliere non solo centinaia di velieri ma anche piroscafi che stavano soppiantando definitivamente la navigazione a vela.
I vari interventi messi in atto lungo il litorale provocarono comunque dei dissesti alla spiaggia non di poco conto. L’erosione naturale operata dalle correnti marine fu notevolmente favorita anche dalla mano dell’uomo. È sufficiente pensare che sia per la costruzione del molo sia per la sede e la protezione della Ferrovia Sangritana furono utilizzati i ciottoli presenti in loco per il cui trasporto fu anche costruita una ferrovia decauville[2]. Non a caso nel 1925 la famiglia Dazio vinse un ricorso per una palazzina presente in prossimità della spiaggia, costruita su due piani ognuno di sei vani, inghiottita dal mare a causa della erosione provocata proprio dall’enorme asportazione dei sassi dalla spiaggia.