I sanvitesi ed il mare (5)

 

La marineria, comunque, cresceva in modo esponenziale e nel 1890 la pesca era esercitata da 58 barche e rappresentava “la principale risorsa, anzi l’unica sorgente di lavoro e di guadagno per moltissime famiglie. Si tendeva poi a sottolineare come rispetto agli anni precedenti l’industria della pesca si era “venuta man mano frazionando. Laddove prima era esercitata da pochi capitalisti con barche relativamente costose, ora, invece per i buoni 4/5, è esercitata direttamente dagli stessi marinai che con i risparmi e con i frutti del proprio lavoro son giunti a formarsi il modesto capitale occorrente per la costruzione di un paio di battelli”. [1]Vi era all’epoca la presenza di ben 23 padroni o “paroni” di barche, (Foto 6), 10 commercianti marittimi di piccolo cabotaggio, 25 commercianti di pesce e 2 costruttori di barche e carpentieri.[2]

Nel 1913 il numero delle barche da pesca con rete a strascico era salito a 63 con 32 pescatori, con un materiale del valore di circa 10.000 lire, un prodotto di 175.000 lire ed un valore degli attrezzi di 120.000 lire. Ve n’erano sette che praticavano la pesca con le nasse[3] con un valore di attrezzi di lire 300 ed un fatturato di lire 1.000. Per quanto concerne l’attività della nostra flotta peschereccia S. Vito era avanti rispetto a tutte le altre località costiere abruzzesi da Giulianova fino a Vasto.

Non possiamo non segnalare la presenza di quell’elemento caratterizzante oggi la nostra costa sia turisticamente nonché amministrativamente: il trabocco. (Foto 7). All’epoca se ne contavano 13 con 26 pescatori con un valore di lire 10.000 ed un profitto di lire 50.000.

Sul trabocco, sulla sua posa e messa in opera ed il suo funzionamento è stato scritto abbastanza. Vorrei qui soltanto far rilevare come la nascita dei trabocchi, avvenuta sicuramente dopo il 1750, anche se non nella stessa forma, è stata dovuta principalmente all’inventiva di chi trovando economicamente difficoltoso l’acquisto di una barca o di chi aveva poca dimestichezza col mare seppe idearsi questa strana macchina da pesca. Non essendovi fonti da cui poter individuare i primi costruttori o “inventori” appaiono un po’ dovunque teorie le più disparate attribuendo ora a francesi ora ad ebrei sefarditi l’ideazione del trabocco. Queste fantasiose ipotesi, però, non trovano riscontro in nessun documento sia demografico sia più propriamente storico. In tutto l’Archivio Parrocchiale di San Vito Chietino, ad esempio, dal 1587 e per tutti i secoli seguenti non vi è nessuna traccia di questi nuovi gruppi familiari e lo stesso dicasi gli atti concernenti il Regno di Napoli e non troviamo nessun traboccante (Foto 8) neanche nel catasto onciario del 1746 dove tutti i componenti famigliari erano obbligati a dichiarare la propria professione. Del resto, come potevano gli ebrei sefarditi insediarsi in una terra governata da quello stesso regime che li   aveva cacciati dalla Spagna?[4]


 

[1] Pel Mandamento di S. Vito Chietino – Memoria - Tip di G. Barbera - Firenze 1890, pag. 9

[2] ivi pag. 27. Il notevole numero di padroni di barche portò l’amministrazione comunale ad intitolare anche una via, “Strada de’ Paroni” tuttora esistente nella zona del “Colle”.

[3] Singolare era la pesca con le “nasse”, gabbiette di metallo con un’apertura in un punto dove il pesce si incanalava per raggiungere l’esca posta al suo interno. Il pescato andava dai crostacei ai molluschi ed un’esca molto particolare era costituita da fascetti di lentisco poste all'interno delle nasse: in primavera, infatti, le femmine delle seppie preferivano andare a deporre le uova proprio sui rametti di lentisco. A San Vito questa pianta veniva prelevata soprattutto nei pressi di Sant’Apollinare nella località denominata appunto “Colle Lentisco”. La corteccia del lentisco veniva anche utilizzata per la conciatura delle pelli che arrivavano al porto dalla Dalmazia.

[4] Per l’argomento è sufficiente leggere il libro di “Breve storia degli ebrei” di M. BRENNER – Donzelli Editore Roma, 2009