Cesare de Titta(2)
Sulla spiaggia, nell'atmosfera di un tramonto infuocato, il poeta attende insieme al caro "Joseph" l'arrivo del filosofo e degli altri amici. Il mare pullula di vele bianche e gialle, ride al sole bellissima Ortona, è sfolgorante San Vito, fintanto che scendono morbide le ombre della sera. Li illuminano i rossi bagliori del treno in arrivo e il fischio stridente ne lacera il silenzio.
Si ascende al colle e i sensi tutti sono protesi a captare il magico incanto della notte ancora illune, ma fulgida di stelle, percorsa da sussurri, pervasa da un intenso profumo di campi. E mentre alla presenza degli ospiti vivamente partecipi il poeta legge in anteprima i poemetti dì "Gente d'Abruzzo" e alcune liriche di "Terra d'oro", ad illuminare la notte s'è levata dal mare la luna. La luna ride anche nel plenilunio di una mite notte autunnale che di questa è quasi idillica prosecuzione.
È la vigilia delle idi di ottobre del 1921 e il poeta con Luigi Illuminati e Giuseppe Javicoli è tornato sulla meravigliosa terrazza, spettatore incantato di un altro bellissimo notturno, i distici che si aprono appunto con la nitida immagine della luna ridente esplicitano la sottesa malia di uno spettacolo carico di suggestioni. La quiete profonda della notte permette alla voce del mare, sola, d'arrivare in alto e da questa arcana voce, la più ritmicamente scandita tra le mille che fanno la notte così viva, sono pure toccati gli spettatori, tanto che possono percepire nelle più intime fibre le "secretas animas" e i "murmura rerum".
A.M.