Requiem per il Trabocco di Turchino

  Lei, la Divina Protettrice del mare, era passata veloce la sera della sua festa. Andava di fretta.

   Si era appena ritagliata uno spazio di luce e di bonaccia per non mancare all'appuntamento, a smentire tutte le Cassandre di malaugurio.

   Lei, l'ultimo sabato di luglio, rasenta in barca la costa, lo sguardo verso orizzonti lontani, le braccia protese a invocare la benedizione del Figlio sulla gente di mare, quella "passata" e quella presente.

   Lui, "il ragno colossale", malfermo sulle zampe, accartocciato su se stesso, lasciato morire dall'incuria degli uomini, l'aveva aspettata per un rapido saluto, quasi uno sfiorarsi leggero, come s'usa tra creature del mare.

   La vongolara, addobbata a festa, era ripassata con il suo carico prezioso, le autorità, il gonfalone al vento, il lieto suono della banda giovanile.

   La Divina Protettrice l'aveva abbracciato maternamente con lo sguardo per l'ultima volta.

   Qualche ora più tardi una sventagliata di vento (non una rivulgiatura, come mi spiega correggendomi, Marino)  spazzò la terra e alzò il mare, singulto della natura per una sua creatura che muore.

   Il Trabocco di Turchino aveva cessato di cantare il suo canto di morte.

   "Resistente leggerezza", la sola passerella lega, quasi cordone ombelicale, il relitto alla terra.

Adelia Mancini