Il padre
Il giorno Ferragosto ho incontrato al cimitero la professoressa Adelia Mancini e, immancabilmente, il nostro conversare è caduto sui morti, che lì riposano.
Tra le tante cose ci siamo soffermati a commentare alcune iscrizioni, alcune leggibili e altre meno, che si trovano sulle lapidi e la professoressa Mancini mi faceva notare come alcune di esse, quelle più vecchie, erano delle vere e proprie poesie e mi chiese se conoscessi la poesia dedicata al padre da un poeta ligure, Camillo Sbarbaro.
Lei mi recitò l'incipit e io subito la fermai, perchè non volevo togliermi il piacere di leggerla per intero, cosa che feci appena tornato a casa.
La poesia è veramente bella e desidero condividerla con chi legge queste note:
Camillo SbarbaroPadre, se anche tu non fossi il mio Padre se anche fossi a me un estraneo, per te stesso egualmente t'amerei. Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno Che la prima viola sull'opposto Muro scopristi dalla tua finestra E ce ne desti la novella allegro. Poi la scala di legno tolta in spalla Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro. Noi piccoli stavamo alla finestra. E di quell'altra volta mi ricordo Che la sorella mia piccola ancora Per la casa inseguivi minacciando (la caparbia aveva fatto non so che). Ma raggiuntala che strillava forte Dalla paura ti mancava il cuore: ché avevi visto te inseguir la tua piccola figlia, e tutta spaventata tu vacillante l'attiravi al petto, e con carezze dentro le tue braccia l'avviluppavi come per difenderla da quel cattivo che eri il tu di prima. Padre, se anche tu non fossi il mio Padre, se anche fossi a me un estraneo, fra tutti quanti gli uomini già tanto pel tuo cuore fanciullo t'amerei.