Voci, notizie e fatti (Luglio-Agosto 1993)

Corrono voci, per San Vito. Pare che la (…) stia "pesantemente" scendendo in campo per le prossime elezioni comunali: striglia le milizie residue, si è riattaccata al telefono, lancia urla di incitamento per la vittoria, per la riconquista del Comune. Corrono queste voci. Ma corrono anche notizie e fatti, che dicono ben altro. Le notizie. Sono quelle riportate da tutti gli organi di stampa, e parlano di finanziamenti sospetti per le campagne elettorali della Nenna; soldi pagati da questo o quell'altro imprenditore per favorire il voto alla DC e la preferenza a qualche politico locale, che in questo modo sarebbe stato eletto potendo contare su appoggi e finanziamenti sconosciuti ad altri candidati, del suo o di altri partiti. Altro che competizione democratica e alla pari! E vi sono ancora altre notizie, sempre sui giornali. E dicono di un (…), Amministratore della USL, che vuota il sacco e racconta dì come venivano truccati i concorsi per gli ospedali, su richiesta esplicita e pressante di (…) e soci. E questa signora, alla faccia di ogni rispetto per cittadini e elettori, vuol riprendere in mano il Comune di San Vito, per sé e per la sua parte politica. Come se non bastassero i danni già compiuti. Poi ci sono i fatti. Il fatto, anzi: e cioè che, la DC e la (…), il Comune già ce l'avevano in mano è si sono dimessi, abbandonandolo dal 2 aprile in mano al commissario prefettizio. Cosa vogliono "riconquistare", costoro? Se avevano qualche idea, qualche capacità, qualche volontà perché non l'hanno messa in opera quando già comandavano, da soli per di più? Che altro possono promettere, oggi e per il futuro, che già non avrebbero potuto fare prima, e non l'hanno fatto? Che diritto e che faccia hanno di ripresentarsi e chiedere la maggioranza, quando la maggioranza già l'avevano e se ne sono addirittura scappati? La vadano a spiegare ai disoccupati, agli operai della Vianini, ai commercianti e agli artigiani, agli operatori turistici e a tutti i sanvitesi, la loro volontà di riprendersi ancora il potere. Lo facciano: siamo curiosi di sentire la risposta. (a.g.)

 

Il Ponte degli Inganni (Settembre 1993)

 

La storia che stiamo per raccontare avrà, per molti dei nostri lettori, un sapore di "già visto", di vicende in qualche modo vissute e conosciute. Hanno ragione, perché vedremo all'opera personaggi e metodi già noti per altre, e scellerate, imprese. Solo che questa volta c'è, ci può essere, una sostanziale differenza: la storia è squallida, come tante altre, ma forse se ne può cambiare il finale. Lo vedremo, per adesso procediamo con ordine.

Si comincia il 13 maggio 1987. In quel giorno, alle ore 13 (ora di pranzo, chissà se significa qualcosa...) si riunisce la giunta comunale di San Vito, DC al 100, e decide il seguente pateracchio: 1) "Da atto che l'ing. Antonio Pasquini ha provveduto per conto dell'Amministrazione dei Comuni di San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia e Torino di Sangro a redigere apposito progetto di valorizzazione della costa".

Fermiamoci un attimo. La giunta dc afferma che l’ing. Pasquini ha redatto "per conto del Comune di San Vito" un progetto per la costa. Tutto a posto? Un momento, finiamo di leggere il verbale e troviamo, 14 righe più avanti, che la stessa giunta "delibera di approvare, in via di sanatoria, l'affidamento dell'incarico all'ing. Pasquini". Approvare in via di sanatoria significa solo questo: che prima non era stato affidato alcun incarico. Quindi, nella stessa seduta e nello stesso documento, la giunta afferma due cose opposte. Prima, di avere affidato un incarico; poi, di affidarlo in quel momento. Una delle due affermazioni è evidentemente falsa. Ma proseguiamo nella lettura del verbale del 13 maggio. La giunta, vi si legge, "delibera di approvare l'allegato schema di convenzione, disciplinante i rapporti con l'ing. Pasquini". Ancora di più, quindi, visto che finora non c'era alcuna convenzione, risulta chiaro che non era stato dato alcun incarico. Guardiamo lo schema di convenzione: "II Comune richiede all'ing. Pasquini, che accetta, la presentazione (del progetto) non oltre mesi tre dalla data di affidamento dell'incarico". Visto che l'incarico viene affidato in quel momento, 13 maggio, l'ing. Pasquini deve presentare il progetto entro la metà dell'agosto successivo. Niente di strano, sembrerebbe, solo che... Solo che, nella pagina precedente del verbale, e prima ancora di scrivere lo schema di convenzione la giunta stessa ha già deliberato "di approvare il progetto "Piano speciale Sangro - Valorizzazione della Costa" a firma dell'ing. Pasquini, datato 6 aprile 1987".

Proviamo a ricapitolare. 1) il 13 maggio '87 la giunta dc afferma che l'ing. Pasquini ha redatto un progetto per conto del Comune di San Vito, e questo non poteva essere, visto che: 2) l'incarico viene affidato solo nella stessa seduta del 13 maggio; 3) in quella data viene preparato uno schema di convenzione, da firmare successivamente, con l'incarico di preparare il progetto; 4) il progetto, ancora da preparare "entro tre mesi", viene approvato in quella stessa seduta di giunta e risulta datato 6 aprile, ossia prima dell'affidamento dell'incarico e prima della firma della convenzione. L'importo del progetto era di circa tre miliardi per la prima fase, e di circa 8 miliardi per la seconda. Cittadini di San Vito, questa è la DC, per chi non la conoscesse. Undici miliardi (soldi del 1987, oggi varrebbero il doppio) trattati come al gioco delle tre carte, con incarichi che ieri c'erano oggi no, e vengono affidati oggi al posto di ieri; con progetti che devono arrivare entro tre mesi e intanto vengono approvati, perché in realtà erano stati presentati 40 giorni prima, quando non c'era alcun incarico. Undici miliardi di denaro pubblico, denaro nostro. Per la cronaca, a quella seduta erano presenti: Lodi Vittorio (nella funzione di presidente), Bucciarelli Rosario, Mancini Federico, Staniscia Lorenzo, Veri Sergio. Hanno votato tutti a favore, "con voti unanimi", come si legge nel verbale. E senza vergogna, aggiungiamo noi.

E di che progetto si trattava? Semplice: di fare scempio di Marina San Vito, di finire di distruggerla, darle il colpo di grazia. Una volta alla Marina, passato il ponte, c'era una torre, c'era una chiesa e qualche altra costruzione. Era il luogo di lavoro, dì culto e di incontro dei marinai, che in buona parte abitavano al Paese. Quella spiaggia e quell'area, così attrezzate, rappresentavano la continuazione del promontorio in alto, rendevano tutt'uno Paese e Marina, univano luoghi di lavoro, luoghi dello spirito e luoghi di residenza. Poi, dopo la guerra e distrutte quelle costruzioni, sul grande spiazzo si erano installati i calafati, i maestri costruttori di barche a colpi di ascia e di perizia antica. Toccò a loro, e ai marinai rimasti, conservare il legame fisico e spirituale tra terra e mare, a San Vito. Poi arrivò la DC al Comune, e cominciò,il macello. Andarono via i calafati e furono cancellate persino le tracce di quell'arte nobile, andarono via i marinai. Arrivarono le ruspe, il cemento armato, i casermoni e l'asfalto sulla spiaggia. Qualcuno ci guadagnò, è chiaro, San Vito e la Marina ci rimisero, ne uscirono sconvolti e stravolti. Quello che prende le mosse dalla giunta del 13 maggio '87 era il colpo finale alla Marina, il degno proseguimento di un'opera di demolizione iniziata trent'anni prima dalla DC, la rifinitura delle speculazioni finora messe in atto. Un progetto semplice, nella sua scelleratezza: far proseguire l'attuale strada sul mare (il cosiddetto Lungomare di Gualdo) anche dall'altra parte del Feltrino, con la costruzione di un enorme ponte in cemento armato per oltrepassare quel mezzo metro di fiume e far arrivare le automobili fin sopra la scogliera di Cintioni. Migliaia di metri cubi di cemento, catrame e asfalto da riversare sulla spiaggia, per la gioia di chi in queste cose ci traffica e ci sguazza. E chissà, in prospettiva, l'idea che possano rendersi edificabili i bei terreni lasciati liberi dall'arretramento della ferrovia...

Il 2 dicembre 1987, sette mesi dopo, l'argomento viene portato in consiglio comunale. Chi scrive queste note - all'epoca consigliere comunale - ricorda di aver parlato per ore contro quel progetto e le sue implicazioni. Alla fine il risultato fu che venne messo in votazione soltanto l'affidamento dell'incarico a Pasquini, e il progetto venne rimandato, non approvato. Tutta la Dc (12 consiglieri) votò a favore, il PCI e il PSI votarono contro, il MSI si astenne. Fu approvato quindi l'incarico a Pasquini, ma non il progetto. Si arriva all'ottobre 1988, senza che del progetto vi sia più traccia, il consiglio non viene riconvocato sull'argomento, il 29 di quel mese si riunisce nuovamente la giunta comunale con D'Atri, Lodi, Mancini e Verì. All'ordine del giorno "Prolungamento del lungomare", e viene alla luce quanto segue: 1) che il 27 luglio '88, otto mesi dopo il consiglio comunale che non aveva approvato alcun progetto, D'Atri aveva richiesto alla Regione il finanziamento del progetto non approvato; 2) che solo ora, a giochi fatti, la giunta approva questa richiesta ( infatti delibera "di approvare ora per allora, in via di sanatoria, la richiesta avanzata dal Sindaco..."). 3) Che la Regione, dal canto suo, ha già deciso lo stanziamento di un miliardo per finanziare l'operazione. Tutto questo, è bene ripeterlo, senza che al consiglio comunale risultasse niente in merito, a partire dal progetto. Ma non è finita, come vedremo nel prossimo numero.

Antonio Giannantonio

 

P.P.(PARTITO POPOLARE) (Settembre 1993)

 

Da quando in galera li stanno a ficcare

qualcosa di nuovo dovevan pur fare:

- "Se sente Dicci la gente ci caccia

cambiamoci il nome, salviamo la faccia

se a tutti gli onesti facciamo, ribrezzo

conviene pagare un piccolo prezzo

facciamo veder che vagliamo cambire

togliamo Diccì, mettiam "Popolare".

Ci son le elezioni, sbrighiamoci presto

il nome che conta? teniamoci il resto

e a tutti diciamo: "Diccì rinnovata"

la gente ci vota, felice e gabbata.

Perché poi cercare un qualsiasi fesso?

Abbiamo (…), usiamolo adesso.

Che importa se lui non ha fatto mai niente

per questo paese né per la sua gente?

Conosce i malati, fa qualche puntura

è questo che vale la candidatura.

Del resto, per noi, c'è solo gramigna

prendiamo costui di (…)

se il popolo abbocca, salviam la minestra

se poi, come pare, chi vince è Ginestra

possiam sempre dire: è (…) che ha perso

e ci rifacciamo per qualche altro verso".

 

Così detto fatto (…) è chiamato

e annuncia giulivo: "Io son candidato!".

E a chi gli contesta: Ma come, dottore

stai sotto la gonna di queste signore?

(…) risponde: - "Non so se hai capito

ma ora si tratta di un nuovo partito

e infatti, da adesso, chi conta e commanna

non è (…), bensì (…)

e questo, al di sopra di ogni commento,

è un fatto evidente di rinnovamento.

E se ben rifletti, mi hanno chiamato

in quanto dottore: io sono indicato

perché per cambiare la Democrazia

ci vuole un esperto in urologia.

Si suole in Italia, a partir dai giornali

usar dei partiti le sole iniziali

e quello che vado a rappresentare

Partito si chiama – oddio - Popolare

e se la Diccì si riempiva la pancia

facendo gli affari e prendendo la mancia

adesso è diverso e non si può mica

gonfiarsi più il ventre, ma sol la vescica.

E a me, se ho capito, sta bene così:

son sempre Diccì, ma faccio Pipì".

 

C’è qualcosa di nuovo, anzi di vecchio... (Ottobre 1993)

Alcuni giorni fa (il 25 ottobre, pare, da quel che dicono i servizi segreti) c'è stata la presentazione della lista di "proposta democratica", davanti ad una folla oceanica valutata in almeno quindici persone, forse venti. C'è chi, in vena di ottimismo, giura di averne contati addirittura ventidue, una marea. Di fronte alla piena di popolo qualcuno ha rimpianto i bei tempi di Gaspari ministro della Protezione Civile: un paio di miliardi - come per il Colle - con una simile alluvione di gente non te li negava nessuno. E la lotteria era vinta, altro che elezioni... In assenza di miliardi, si è parlato del "nuovo": nuova la lista, nuovo il nome, nuova la sede affittata per la campagna elettorale (a due passi dalla sezione DC, tanto per evitare fastidiosi traslochi. A proposito, chi paga l'affitto?) nuovi di zecca i compari della cerimonia. Infatti la lista del "cambiamento " e stata tenuta a battesimo da alcune immacolate verginelle. Da quel (…) che dall'infanzia frequenta le stanze della DC, del comune e degli assessorati, ci ha messo i capelli bianchi; da quel (…) (sì, proprio lui) che nel '90 si è fatto eleggere nella Ginestra per poi traghettarsi velocemente sull'altra sponda, fra le braccia di mamma DC. Pare che i due personaggi in questione debbano essere, in caso di vittoria dc (pardon, di "proposta democratica") i due assessori "esterni". Esterni a ogni pudore, si direbbe, visto che sono più che mai interni, praticamente internati, al vecchio sistema di potere. Dulcis in fundo, simbolo degli sconvolgenti elementi di "novità", a fare gli onori di casa era l'on. (…), giovane dirigente di "proposta democratica" e baluardo un po' sfatto e malinconico del vecchio regime. Narrano le cronache che hanno parlato in molti: la (…), appunto, il (…), il (…). Qualcosa ha farfugliato anche il (…), altro emblema del cambiamento (infatti ha cambiato, prima è stato candidato della DC, ora lo ...della DC: bisogna pur rinnovarsi, che diamine). Dopo di che, silenzio di cimitero, nessun altro che riuscisse a spiccicare parola. A questo punto, imbarazzo e dubbio atroce: se nessuno dei candidati - i futuri amministratori! - sa dire altro che buongiorno e buonasera, che fare? Se ci affidiamo a loro, scena muta; se facciamo parlare gli altri ((…) & c.) si scopre miseramente il giochetto che "proposta democratica" è la lista della DC. Che fare? Pare che la trovata sia questa: il Silenzio. Nessuno parla più, ad evitare figuracce. Si va solo porta a porta a cercare il voto, per amicizia, per parentela, per compassione. Sul resto (programma, modo di governare, quali soldi spendere e come, idee e capacità dei candidati a, che so, un comizio, un pubblico incontro d’informazione agli elettori...) su tutto, zero e porto zero. I sanvitesi, secondo costoro, dovrebbero votare nel buio e nel silenzio, senza nulla sapere nè chiedere. Non c'è che dire, è proprio un bel "cambiamento", una grande "proposta democratica". Un consiglio? Votate Ginestra.

 

La parabola del buon muratore (Novembre 1993)

 

... E venne dunque il tempo in cui Giobbe volle costruirsi la casa. Arrivato che fu il calar del sole, chiamò sull'aia i figli di ritorno dai campi e così parlò loro. "Il momento è giunto, dilettissima prole, che dobbiamo,edificare la nostra casa. La vostra vecchia madre e io vogliamo che essa sia grande e bella e robusta, acciocché possiamo passarvi in serenità la fine dei nostri giorni e voi possiate viverci con le vostre donne e i vostri figli, e con i figli dei vostri figli". "E così sia, padre", risposero quelli commossi. "Andate dunque, miei adorati figliuoli - riprese l'anziano genitore - mettetevi in cammino. Salite i monti, discendete le valli le più scoscese, traversate le verdi pianure. E quando il grano si piegherà sotto il peso dei chicchi maturi e la vite comincia a mostrare i suoi primi grappoli, tornate portando con voi bravi e buoni muratori. Perché, in verità vi dico, solo la casa solida, costruita da esperte mani, potrà reggere all'urlo dei venti e alla furia delle bufere". "Sarà fatto, padre" risposero ancora i figli. Si misero ordunque in cammino, alla ricerca dei bravi artigiani. Scalarono i dirupi, traversarono fiumi una volta limpidi e ora esalanti mefitici miasmi, riposarono le membra all'ombra di fresche ginestre. E passarono oltre. Arrivarono alfine davanti a un’immensa casa, racchiusa da robusto recinto, grande e altera così come abitazione di regina. "Fratelli - disse il maggiore - siam giunti alla meta. Chi costruì questo edifìcio potrà bene provvedere alla nostra fabbrica. Chiediamo chi è costui e portiamolo con i suoi muratori dal padre nostro, che ne sarà contentò". E così fecero. Le stagioni passarono, il grano riempì tre volte le sue spighe, per tre volte la vite colmò gli otri di giovane vino. Ma la fabbrica non progrediva, tra le pietre dimenticate la verde erba ingialliva, per poi tornare a crescere. Il vecchio osservava i risparmi svanire, rimirava le mura mezzo edificate e già cadenti, guardava la casa del vicino venir su forte e rigogliosa. Finché una notte i muratori fuggirono, si dileguarono nella tenebra, lasciando la casa incompiuta e le sostanze dilapidate. Un'altra stagione arrivò. Il genitore chiamò di nuovo i figli sull'aia. "Vi rimetto alla prova, adorati figlioli. Cercate bene, stavolta, chiamate buoni muratori, che di una casa abbiamo bisogno". I figli ripartirono, si diressero dalle parti del tempio alla ricerca di consigli, tornarono al genitore. L’abbiamo trovato, padre, il nuovo muratore. Affidati a lui, e la nostra casa sarà costruita". E così decisero. Arrivò dunque costui al cospetto del vecchio genitore. Ed era lo stesso costruttore di prima, sotto diverso nome. "Ancora tu!" urlò il vegliardo, avvampando d'ira tremenda, e fece per saltargli alla gola, a stento trattenuto dalla caritatevole moglie. "Hai ragione, Giobbe, col tuo furore" disse l'impresario "ma ora puoi riporre in me la fiducia". "Sei sempre tu..." sibilò il vecchio. "Ho cambiato il nome, e ho una squadra nuova ". "Nuova?". "Così nuova, Giobbe, che nessuno di loro ha mai fatto il muratore". "E osi vantartene, furfante scellerato!?" E vuoi che io mi consegni ancora a te, tu che mi hai ingannato e sei fuggito e ora ti ripresenti sotto false vesti; vuoi che affidi la mia casa e i miei averi a gente da te voluta, e che non conosce nemmeno il mestiere? Va via, fuggi dalla mia vista, prima che queste mani facciano giustizia!". Scappato che fu colui e attenuata l'ira, il vecchio si recò dal vicino e chiese chi gli aveva costruito la casa. E recatesi da questi: "anche tu hai cambiato la squadra?" gli chiese. "Alcuni sì, vecchio Giobbe" gli venne risposto. "Son passati quattro anni, c'è chi è invecchiato, chi ha voluto lasciare il posto a giovani valenti. Ho conservato il capomastro, il geometra, il contabile e qualche altro esperto. Il resto è nuovo, scelto fra gente capace". "Tu sei saggio, disse Giobbe, vieni e ricostruisci la mia casa". E così fu fatto.

 

Mamma li turchi! (Novembre 1993)

 

"A tocchi a tocchi la campana sona / li turchi so' arrivati a la marina...". Udite udite. Alle soglie del duemila, i nipoti del feroce Saladino stanno per sbarcare davanti all'Aldebaran armati fino ai denti di scimitarre ricurve, turbanti con la mezza luna, pantaloni suppergiù alla zuava, un po' più larghi e comodi, graziose pantofoline con le punte all'insù. Ecco allora che i difensori della civiltà ("proposta democratica ", per intenderci) insorgono, chiamano alla crociata e, guidati dal prode Riccardo Cuor d'Uccellino, avanzano (un po'sparpagliati, a dire il vero) al grido di "Siam cattolici!". Tutti gli altri, se ne deduce, sono appunto turchi, saraceni, musulmani, fors'anche induisti o, sotto sotto, notturni praticanti dei riti vudu. Comunque infedeli. Orfani dello scudo crociato, tenuto nascosto nelle retrovie tra le vettovaglie, i baluardi dell'occidente issano al vento vessilli con l'effige di assistenti dentisti, che dopo aver assistito alla cacciata dei denti ora vogliono assistere alla cacciata dei miscredenti. Sui candidi (ma non tanto, una passata di Dash non guasterebbe) mantelli s'intravede il volto di attempati studenti universitari vicini più alla pensione sociale che alla laurea. E così, un po' a piedi e un po' camminando, i maturi scavezzacolli si avviano ciabattando alla crociata, per respingere le orde barbariche oltre il Feltrino al canto dell'insistente litania, sempre quella, ripetuta, cantilenante, ossessiva: "siam cattolici, siam cattolici, siam cattolici...". Allucinante. Pare che pensino questi "cattolici" da fac-simile di riconquistare così il comune, seminando un po' di confusione fra preferenza e astinenza, tra territorio e aspersorio, fra pubblico e pulpito. E chi non sta con loro nella scalcagnata armata sarebbe, a dir poco, il nemico della cristianità, il feroce Saladino. E essi che ostentano, il molliccio salamino? A quanto pare è questa, la campagna elettorale di "proposta democratica", la lista della DC: dire "siam cattolici", tutto qui. Quasi che si andasse ad eleggere il consiglio parrocchiale e non quello comunale. Cercano di dare a intendere che nella loro lista stanno i cattolici, nelle altre magari gli scintoisti. Che pena. I cattolici, come è ovvio, stanno in tutte le liste. Ginestra compresa. Solo che questi altri candidati non fanno della loro religiosità argomento di campagna elettorale, non la mercanteggiano con il voto. Sanno bene la distinzione fra Dio e Cesare, e evitano contaminazioni. Il 21 novembre si va a eleggere l'amministrazione comunale per governare San Vito. Cattolici-candidati e cattolici-sindaci sono stati anche i Bucciarelli e i D'Atri, e si è visto che fine han fatto (anzi, hanno fatto fare a San Vito): un po'di prudenza, da parte di Merlino e c., sarebbe quantomeno opportuna. Per favore, candidati della DC, se volete la preferenza, cercate di guadagnarvela in altro modo: e lasciate la religione fuori da queste vicende terrene, non offendete la coscienza dei veri cattolici. (a.g.)

 

Parole in libertà (Novembre 1993)

 

Siamo riusciti, chissà come, a procurarci una copia del programma della DC/Proposta Democratica. Ne riportiamo qualche citazione, con un po' di commento.

 

"La premessa di uno sviluppo ordinato in una società moralmente sana, forte e determinata è riscoprire il ruolo della famiglia come componente primario della società". Ragazzi, qui c'è un po' di confusione, logica e mentale: se la famiglia è componente primario e la società, come scrivete, è già sana, forte ecc., allora non c'è niente da riscoprire, vuol dire che il ruolo della famiglia già c'è, altrimenti la società non sarebbe sana ecc.; se invece c'è un ruolo da riscoprire, addirittura come premessa, allora la società non può essere già sana e forte. Mettetevi un po' d'accordo con voi stessi, ragazzi.

"La famiglia rappresenta il nucleo vitale della vita di un paese". Monsieur de Lapalisse (quello che un quarto d'ora prima di morire era ancora vivo) non avrebbe potuto esprimersi meglio: "nucleo vitale della vita". Ma ve lo immaginate un "nucleo mortale della vita" o un "nucleo vitale della morte"?

"La famiglia resta elemento fondamentale e decisivo di tutta la realtà umana" (sottolineatura opportuna, qualcuno poteva pensare alla realtà minerale). "La realtà della famiglia nasce... dall'incontro della sfera privata con una realtà pubblica e sociale ". Proviamo a mettere un po' d'ordine: la realtà della famiglia nasce dall'incontro con la realtà (!) pubblica. Dal momento che la realtà umana, cioè pubblica, è già costituita dalla famiglia, ne consegue che la realtà della famiglia nasce dall'incontro... con se stessa! Il cerchio si chiude: è nato prima l'uovo o la gallina? Tra l'altro, e qui sta il difficile, bisogna stare attenti a non strafare. Perchè può succedere che per affermare i valori (al plurale) della famiglia; e intendendo un po' troppo alla lettera l'indicazione "crescete e moltiplicatevi", qualcuno può mettersi a costruirne più d'una, di famiglia, e a seminare figli un po' qua e un po' là, come capita. Succede, ci mancherebbe, e in queste cose uno dev'essere... franco. Ma se poi questo qualcuno si trova a essere il "garante" della lista che difende la realtà (al singolare) della famiglia, come la mettiamo? Aspettiamo il parere di don Luigi.

"Sarà tenuto nella massima considerazione il problema del verde pubblico". Come si vede, sarà tenuto in considerazione non il verde, ma il "problema del verde": che significa noi, francamente, non siamo riusciti a capirlo. Dopodiché, dicono, sarà pubblicato un "libro bianco sul verde pubblico" a cui, pensiamo, seguirà un "libro verde sul nerofumo" e un "libro nero sul bianco-fiore".

• "Realizzazione di un questionario sull'argomento da compilare ad opera dei cittadini e/o dei dipendenti comunali" i quali, evidentemente, non sono cittadini.

"Sarà compito dell'amministrazione comunale procedere alla realizzazione di tutto ciò che abbia come obbiettivo il potenziamento tecnologico e l'adeguamento dei mezzi che favoriscono una moderna agricoltura". Stop. E cioè? Niente, parole buttate là. O forse hanno intenzione dimettersi a comprare trattori e mietitrebbie?

"Sarà realizzato un approdo turistico che comporterà movimento di uomini e mezzi nella cittadina". Di solito, il porto turistico comporta movimento... nel mare. A meno che questi non vogliano realizzare il porto in mezzo alla piazza del paese. Se poi qualcuno in barca si porta anche il cane da guardia e la mucca per il latte fresco, ciò comporterà "movimento di uomini, mezzi e animali nella cittadina".

• "L'amministrazione comunale (cioè laDC, che già si sente amministrazione comunale,) ritiene che la crescita culturale della persona umana..."; "assecondare lo sviluppo e la promozione della persona umana". Vista l'insistenza, questi devono essere proprio convinti che esista anche una "persona vegetale", una "persona animale" e fors'anche una "persona minerale". Che volete, si parla di cultura...

"Ci saranno anche in questo settore, corsi di aggiornamento... "; "Sarà favorito il rilancio della pro-loco al fine di programmare, dibattiti... ". Le virgole, ragazzi, le virgole. La virgola non va mai messa tra soggetto e verbo, e tra verbo e complemento. Che succede, la prof.ssa (…) non vi corregge i compitini?

• E per finire in bellezza: "l'Amministrazione comunale cercherà di utilizzare il tempo libero con mostre, rappresentazioni, concorsi e premi culturali". Cari amici, sappiamo che siete abituati a non fare niente, al Comune, ma scriverlo anche! Invece di pensare a come utilizzare il tempo libero, l'amministrazione comunale non farebbe meglio a lavorare?

Comunque, al di là delle parole in libertà e della logica sgangherata che le sostiene, bisogna con onestà riconoscere che la DC a San Vito ha fatto veramente molto, per la famiglia. Della (…).

 

Guardando dentro al voto (Dicembre 1993)

 

Sarebbe riduttivo, e anche erroneo, leggere il risultato delle elezioni del 21 novembre a San Vito soltanto come la vittoria della Ginestra sulla Dc. Prendere questo dato finale, e non considerare il resto di cui i numeri usciti dalle urne rappresentano la sintesi, impedirebbe di vedere le tematiche e le questioni, più, o meno grandi, che hanno attraversato la campagna elettorale. Per esprimerci in un linguaggio colorito, si vedrebbe la foresta ma non gli alberi o, detto altrimenti, si osserverebbe la superficie della tela, facendosi sfuggire l'ordito dei fili che la costituiscono. E' invece importante scavare un po' dentro quello che è successo, e non soltanto come curiosità intellettuale. Capire ciò che gli elettori hanno voluto e quello che hanno respinto, può essere di non secondario interesse per l'attività dell'amministrazione uscita dalle urne. Vediamo quindi di isolare alcuni degli elementi confluiti nel risultato finale. Ci sono stati, con ogni evidenza, un riflesso e un peso dei fatti nazionali sul voto di San Vito. Questo è riscontrabile dall'analogia sia coi risultati del 6 giugno scorso che con quelli degli altri comuni dove si è votato il 21 novembre. Vigono però alcune differenze, su cui vale soffermarsi. La prima differenza è che, il 21 novembre '93, San Vito ha portato a compimento un'operazione di ricambio di classe dirigente che già era cominciata col voto del maggio '90. In questo, San Vito ha sicuramente precorso i tempi e anticipato fenomeni che solo successivamente sarebbero emersi a livello nazionale. La seconda diversità sta nella misura dei voti, degli spostamenti elettorali. Se il risultato della Ginestra (60% dei consensi) supera generalmente quello ottenuto da altre forze progressiste il 21 novembre, è anche vero che la Dc (35%) si attesta ad un livello superiore al dato medio nazionale (10-15%). E' pur sempre una frana, per un partito che fino a pochi mesi fa raccoglieva il 50-60%, ma sembrerebbe testimoniare da un lato una maggiore tenuta della Dc sanvitese, dall'altro una contraddizione con quanto detto prima: essendo cominciato il calo della Dc già nel '90, ci si poteva aspettare anche un crollo maggiore. La spiegazione è probabilmente duplice. Primo motivo: benché fossero nominalmente presenti tre liste, in realtà l'alternativa era secca, tra Dc e Ginestra. Per l'elettorato che intendeva abbandonare la Dc non c'era la possibilità di confluire su altri schieramenti (moderati, o di destra, o di ispirazione cattolica progressista) così come è avvenuto altrove. Per chi non voleva votare Ginestra c'è stata, nei fatti, solo la possibilità di rivotare DC, e questo ha "gonfiato" il risultato della lista democristiana. Inoltre a San Vito - diversamente che negli altri centri - la DC si presentava sotto un simbolo diverso (e questo, se non ha ingannato nessuno, può aver comunque costituito "alibi morale" per qualcuno) e proponeva come sindaco addirittura il medico del paese e ufficiale sanitario. L'aver perso, in queste condizioni e in quella misura, la dice lunga sull'entità della sconfitta dc. Secondo motivo: l'abbandono della Dc può essere stato "frenato" dal fatto che la Ginestra presentava un sindaco iscritto al PDS: ai nipotini della Nenna e ai chierichetti di don Luigi non è parso vero di poter rispolverare gli arnesi dell'anticomunismo. Con scarsi risultati, come s'è visto, ma forse qualche briciola l'hanno raggranellata. E questo fatto - il sindaco PDS presentato dalla Ginestra - introduce un altro dei temi significativi della competizione elettorale. I candidati della lista Dc e i loro sostenitori hanno barato al gioco e verso gli elettori. Gridando allo "scandalo" di un sindaco "comunista", hanno tentato di falsare tre semplici verità: 1- che (al di là dei giudizi che se ne possono dare) il PCI non esiste più da anni; 2 - che il PDS non solo è formazione nuova e diversa, ma addirittura regge il governo nazionale; 3 - che comunque quella che si presentava era la Ginestra, lista cittadina ben diversa sia dal PDS che, a maggior ragione, dal PCI. Tuttavia il tentativo c'è stato, e pesantissimo, di mirare allo stomaco, al ventre molle dell'elettorato, piuttosto che alla ragione. Ed è su questo terreno che si è giocata una delle partite più importanti, forse il significato più autentico della svolta. La Ginestra avrebbe potuto - per ragioni di "tattica" elettorale - togliere facilmente questo "argomento" alla Dc, "sfumare" la testa della sua lista, presentare i candidati, sindaco compreso, in ordine diverso e quindi attenuare l'impatto verso l'elettorato. Sarebbe stata operazione semplice e a "costo zero", visto che poi, dopo le elezioni, i ruoli di fatto potevano ritornare quelli previsti e giudicati opportuni. La Ginestra non ha voluto farlo. Se si voleva la svolta, svolta vera doveva essere, nella chiarezza delle posizioni. Si doveva, in un unico colpo, togliere via la DC e, con essa, far piazza pulita dell'armamentario di ricatti, di condizionamenti, di ideologismi e di paure che avevano costituito non poca parte del suo sistema di potere. Vincere o perdere, ma mettendo sul tavolo tutta la posta in gioco e la realtà vera della Ginestra nelle sue articolazioni e nelle sue componenti. Questo è stato il significato profondo della partita giocata, e su questo terreno si è vinto. La cittadinanza di San Vito si è liberata della Dc e dell'aria malsana che ne avvolgeva e mascherava la sostanza del potere. E' stata una svolta politica, culturale e morale. L'informazione è stata la vera protagonista di questa campagna elettorale, in un doppio significato: l'informazione come fatti, e l'informazione come problematica. La Ginestra ha tenuto diecine di riunioni e incontri. Dovunque ha portato dati, fatti, notizie (le parole sono pietre, diceva Carlo Levi) a cittadini e elettori, ha ricevuto domande, altre informazioni, ne ha discusso, ne ha tenuto conto. Le persone volevano sapere e parlare, con la Ginestra hanno potuto fare entrambe le cose. Questo è stato il primo aspetto. Poi c'è stato, inserito nel primo, il secondo aspetto: il problema dell'informazione, cioè il diritto dei cittadini ad essere informati, a conoscere. Ed è stata forse la rivelazione della campagna elettorale: l'attenzione e l'insistenza su questo problema, l'interesse per la parte del programma della Ginestra che ne parlava e la richiesta che non restasse lettera morta, che si trovassero i modi e la volontà per mantenere, dopo le votazioni, un rapporto con la cittadinanza fondato sullo scambio di informazione. La DC non ha fatto niente di tutto ciò, la sua è stata - da questo punto di vista - una campagna elettorale "clandestina", affidata all'attività porta-a-porta, per la richiesta della preferenza, da parte di personaggi più o meno credibili. In questa scelta perdente da parte della DC va colta non soltanto la sottovalutazione di una questione fortemente avvertita, ma anche, una difficoltà politica. La DC non si presentava con il suo simbolo, troppo squalificato, ma sotto l'ambigua veste di "proposta democratica". Questa lista - che era DC ma non poteva ammetterlo - per ciò Stèsso era destinata al silenzio: se parlava bene della DC e della vecchia amministrazione andava a difendere qualcosa di indifendibile; se, al contrario, ne parlava male si dava la zappa sui piedi, dato che ne rappresentava l'espressione e la continuazione. Perciò zitti, fac-simile e speriamo bene. E' andata male. Ma è emerso qualcosa di più profondo nel triangolo cittadini-Ginestra-DC, e cioè il modo stesso di intendere il rapporto fra amministratori e amministrati. Se si vuole progresso la popolazione ha diritto all'informazione, perché solo conoscendo può essere protagonista e orientare le scelte verso l'interesse comune. Se, invece, si vogliono non dei cittadini ma dei sudditi su cui far piovere le decisioni, allora l'informazione non solo va nascosta, ma diventa addirittura "pericolosa" per chi detiene il potere. La DC, non a caso, ha sempre cercato di nascondere tutto, e lo stesso ha fatto in campagna elettorale. La Ginestra non ha parlato e informato solo durante le elezioni. L'esistenza stessa di questo giornale, tenuto in piedi con sacrifici e difficoltà, testimonia di una convinzione, sul ruolo dell'informazione e sul rapporto con la cittadinanza, maturata da tempo e tuttora solida. Spinta dalla disperazione - ci auguriamo, almeno, che sia stato solo questo il motivo - la DC ha voluto introdurre in queste elezioni un argomento tanto estraneo quanto delicato: la religione. Non potendo, non sapendo e non volendo entrare nel tema specifico del voto (e cioè il giudizio su come si era amministrato finora e poi i programmi, le necessità e gli impegni per il prossimo futuro) la Democrazia Cristiana ha buttato pesantemente sul tavolo la carta del cattolicesimo: votate Merlino e gli altri miei candidati perché sono cattolici, non votate quelli della Ginestra perché non lo sono. La DC di San Vito e della Nenna non ha ancora scoperto, dopo 45 anni, che l'Italia è retta da una Costituzione che non fa alcuna distinzione di sesso, di razza, di convinzioni filosofiche e religiose fra i cittadini, anzi condanna ogni discriminazione operata su queste basi. La stessa DC vorrebbe portare l'Italia, civile e tollerante, a livello di quei regimi integralistici - che sono una eccezione anche nell'Islam - in cui non sono leggi e costituzioni a regolare la vita dei cittadini, bensì il fanatismo religioso. Per quella stessa DC uno può essere ladro, o incapace, o perseguire scelte e indirizzi contrari alla popolazione: ma basta che si proclami "cattolico" e perciò stesso va votato e deve comandare. Degli altri basta dire (fra l'altro mentendo) che non sono "cattolici" e tutto il resto non conta. Gli elettori, i veri cattolici in primo luogo, hanno dato la giusta risposta e una severa lezione a tali farneticazioni. Non sappiamo se qualche sacerdote sia sceso a sostegno di simili assurdità. Se gli è accaduto, ha perso una buona occasione per riflettere su quello che è di Cesare e quello che è di Dio, e soprattutto per testimoniare cristiana carità e ragionare sul fatto che eventuali non-cattolici vanno semmai conquistati e convertiti, mai discriminati. Così almeno dice il Vangelo, ci pare.

Antonio Giannantonio

 

Tecnica della manipolazione (Gennaio 1994)

 

Mettiamola così. Uno vi dice; "Stanotte, verso le due, ho visto un tipo con la faccia nascosta da un cappello che si aggirava davanti ai negozi, dalle parti dell'oreficeria, e armeggiava intorno alle serrature. Mi è sembrato che fosse anche armato, una pistola". Il minimo che potete fare, dopo un simile racconto, è di dare un colpo di telefono ai carabinieri e una doppia mandata alla serratura, prima di coricarvi. Solo che chi vi ha riferito il fatto ha mancato di dire che quel tale portava anche la divisa e era una guardia notturna; per cui l’onest'uomo, verificando nottetempo le serrature, svolgeva soltanto il suo lavoro. Se l'aveste saputo, invece di allertare la forza pubblica e sbarrare il portone, sareste andato a dormire più rilassato del solito, sapendo che anche di notte c'era chi vigilava. Chi quindi ha riferito i fatti in quel modo ha dato un’informazione falsa, perché ha preso solo alcune parti dei fatti, le ha isolate dal loro contesto e mira a presentarle come fossero tutta la realtà. Questa tecnica si chiama manipolazione, ed è esattamente il contrario della verità. Sulla base di questa premessa proviamo ad esaminare il manifesto affisso dalla DC/proposta democratica sulle indennità di sindaco e assessori a San Vito. Si dice in pratica: la Ginestra ha proposto di portare l'indennità del sindaco (cioè il compenso mensile) a 1.936.000 lire, mentre il suo predecessore ne prendeva 800mila. Questo viene scritto bello grande. Poi, in piccolo, si parla di una riduzione al 67 di quella cifra, senza nemmeno specificare quanto viene. Per cui nel lettore (che non gira con una calcolatrice in tasca) dovrebbe restare l'impressione che il sindaco della Ginestra, per sua volontà, si è raddoppiato il compenso, rispetto ai bravi e frugali sindaci dc: uno scandalo. Vediamo come è costruita la mistificazione. 1) Non si dice che l'indennità degli amministratori è determinata dalla legge, per cui la Ginestra non ha proposto niente, ha solo portato in consiglio l'applicazione della legge. 2) Questa legge valeva anche per gli amministratori precedenti. L'indennità ai tempi di D'atri era fissata in 800.000 lire, e D'Atri si è preso tutta la somma; ai tempi di Bucciarelli era fissata in 968.000 lire, e Bucciarelli se l'è ridotta solo del 10%, prendendo 880.000 lire; oggi è fissata in 1.936.000 lire, e Basterebbe se l'è ridotta del 33%, decidendo di prendere solo 1.297.000 lire e lasciando nelle casse comunali 7 milioni e 668 mila lire, soldi che saranno utilizzati per la città. C'è un altro punto interessante, nel manifesto della DC: non si dice mai che quella di cui si parla è una cifra lorda, per cui. tolte le tasse, l'indennità del sindaco si riduce in realtà a lire 701.000. Viste le cose nella loro interezza, ne esce un quadro rovesciato, che si può riassumere così: mentre gli amministratori democristiani si prendevano tutta l'indennità prevista dalla legge, solo con la Ginestra si assiste ad un sindaco che rinuncia ad un terzo del compenso e lascia quella somma nelle casse del Comune, a disposizione della cittadinanza. Un sindaco, per di più, che sta in Comune dalla mattina alla sera e, con un compenso di sole 700 mila lire, vi lavora quasi come un impiegato e affronta spese rilevanti. Anche gli assessori della Ginestra hanno compiuto analoga operazione, lasciando al Comune parte della loro già ridotta indennità. Questi sono i fatti, nella loro completezza. L'operazione della DC, nel manifesto, è stata quella di prendere un solo elemento (la cifra globale prevista dalla legge), di tacere tutto il resto e presentarla come realtà, per di più spacciandola per volontà della Ginestra e non legge dello Stato. Questo procedimento si chiama appunto manipolazione.

 

Una bella serata (Gennaio 1993)

 

Sere fa siamo stati testimoni di uno di quei piccoli avvenimenti che racchiudono grandi significati. Si teneva, alla Marina, un incontro dell'amministrazione comunale con la cittadinanza. C'era il sindaco, con assessori e consiglieri, e dall'altra parte del tavolo diversa gente, che era arrivata pur con il freddo polare che sta accompagnando queste serate di gennaio. Si è parlato di un gran numero di questioni: delle strade della Marina e la loro manutenzione, del ponte sul Feltrino, del disinquinamento dello stesso fiume; dei piani partìcolareggiati e della ripresa edilizia; dell'impostazione del bilancio comunale '94 con alcune scelte nuove e qualificanti; dell'efficienza del personale comunale in relazione alle esigenze di sviluppo; del piano commerciale, delle scuole, della salvaguardia del territorio, delle spiagge e della difesa ambientale e paesaggistica; delle aree costiere che saranno liberate dalla ferrovia; dello spreco di acqua lungo la rete idrica; delle fogne e del destino dell'area verde dell'ex camping. E' stata una discussione ad ampio raggio e tutt'altro che dispersiva. E si avvertiva - in mezzo e al di sotto delle questioni pur importanti da ciascuno affrontate - che c'era altro di significativo, qualcosa di non espresso e tuttavia chiaramente avvertibile, palpabile. C'era la soddisfazione di stare a parlare, e insieme, di argomenti che riguardano la comunità, con la possibilità di potere esprimere, una buona volta e liberamente, i propri giudizi, pensieri, proposte; c'era l'accumulo di anni e anni di rimuginamenti individuali o tutt'al più di discorsi di strada o di caffè che premeva dietro le parole degli intervenuti al confronto con l'amministrazione; c'era l'urgenza di tante piccole questioni personali e insieme il pudore ad esprimerle, lo sforzo evidente di prendere tante necessità, episodi e storie e di ricongiungerle e ricondurle a questioni e interessi generali, comuni. Intento lodevole e finanche eccessivo, perché poi è proprio dall’espressione di quelle necessità, carenze, soprusi e bisogni che ogni individuo o famiglia avverte che si riesce ad avere il quadro reale dello stato di un paese e l'orientamento giusto per le scelte da fare. Non si è parlato solo della Marina, il sindaco ha fatto presenti gli interventi in corso e quelli previsti per il Paese, per Sant' Apollinare e altre zone. Non si è levata una voce di critica, nessuno ha richiesto spostamenti di atti o risorse da un posto all'altro, non c'è stato alcun accenno di localismo. Anzi, magari parlando della scuola del Paese, qualcuno ha chiesto interventi più risoluti e spese maggiori. E' stata una serata così, di serietà e passione civile, dove si è discusso del bidone dell'immondizia che manca, dello spreco di qualche lampadina accesa anche di giorno, e si è voluto insieme sapere a quale turismo si pensa, quali strategie per la costa, come rendere più efficiente l'acquedotto. Gli abitanti si scoprono cittadini e protagonisti, riflettono sui problemi e sulle scelte, intervengono con il loro giudizio. E' stata una bella serata. Si ricomincia a discutere fra persone e sulle cose. Forse la nottata sta passando.

 

PAGARE... PER PAGARE MENO (Marzo 1994)

 

Uno spettro si aggira per San Vito. Ci sono un paio di centinaia di milioni vaganti, che stanno là, che prima o poi bisognerà pagare. E che intanto aspettano, aspettano... Non è una buona tattica, il denaro, come ogni altra merce, ha un costo e ha un prezzo. E, come succede per le altre merci, anche il costo e il prezzo del denaro tendono a crescere, specie quando quel denaro è un debito. Ci sono in giro per San Vito circa duecento milioni, lira più lira meno, dovuti alle casse pubbliche da alcuni cittadini, a vario titolo. C'è chi ha sempre "dimenticato" di pagare l'IClAP fin dalla sua istituzione, dal 1989; c'è qualche esercizio che si è "sbagliato" nell'indicare il settore di attività, e magari risulta iscritto per una categoria più economica rispetto all'attività effettivamente esercitata. C'è chi ha ricevuto una contravvenzione stradale quattro anni fa e ancora non la paga. Chi smarrisce per casa alcune bollette del metano, o comunque da mesi non trova il tempo di fare il versamento; e chi infine manda i figli col "bussetto" alla scuola materna, dove trova anche la refezione, ma poi non provvede a pagarne il costo. A quanto pare, di queste situazioni ce ne sono diverse, se poi la cifra complessiva raggiunge i duecento milioni detti sopra. Qui si pongono, come è evidente, almeno tre questioni. Una riguarda l'equità e la giustizia. Se si svolgono attività, o si utilizza un servizio, che hanno un costo, e quel costo non viene pagato da chi ne usufruisce, il costo relativo, prima o poi e in un modo o nel! 'altro - spesso sotto forma di tasse, per compensare quelle entrate che mancano - va a ricadere sul resto della cittadinanza, pur se questa non c'entra niente. E, appunto, non è un bell'esempio di giustizia. La seconda questione è che lo Stato nelle sue varie articolazioni, fra cui il Comune, non può far certo finta che quei debiti non ci siano. E se finge di non vederli, e non ne richiede il pagamento, non aiuta anzi danneggia il debitore, perché nel frattempo gli importi - per via degli interessi, dei diritti di mora, ecc. - crescono sempre di più. Le amministrazioni democristiane che hanno lasciato dormire quei debiti per anni hanno reso un pessimo servizio agli interessati, che oggi con ogni probabilità si troveranno a dover pagare cifre superiori. Come si usa dire, il medico pietoso fa la piaga dolorosa. La terza questione, conseguenza della seconda, è che lo Stato i suoi crediti li esige e, per via amministrativa o per via giudiziaria, alla fine li riscuote. Se passa la pratica al Serit (il Servizio Riscossione Tributi) già questo fatto comporta un aumento almeno del 35 dell'importo. Da quel che ci risulta, il Comune sta cercando di recuperare quei crediti - perché deve farlo - in via bonaria, scrivendo agli interessati e invitandoli a effettuare il pagamento. Ma a quanto pare di risposte non ne stanno arrivando. Come dicevamo prima, non ci sembra una buona tattica, da parte di chi alla fine dovrà comunque pagare. Rischia solo di vedere aumentare gli importi da versare e di rendere inutile un gesto di buona volontà e di collaborazione da parte del Comune. A conti fatti, per chi quei soldi li deve, conviene pagare ora, per pagare meno. Sarebbe un bene per loro, e sarebbe un bene per tutto il paese, perché quelle somme potrebbero essere spese a vantaggio di tutti.

 

Autovelox o multaferox (Maggio 1994)

 

I termini della questione sono abbastanza semplici. Da una parte c'è il Comune, che ogni tanto piazza sulle strade la macchinetta chiamata "autovelox", un congegno che rileva la velocità delle auto in transito e, se queste superano i limiti, fanno piovere multe salatissime, nell'ordine di centinaia di migliaia di lire. Dall'altra parte stanno gli utenti della strada, che protestano vivacemente. Proviamo a riportare le ragioni delle due parti. Dice l’amministrazione comunale: i limiti vanno rispettati, c'è in gioco la sicurezza dei cittadini. Se l'automobilista che vede il cartello dei 50 orari non rallenta bisogna punirlo, di modo che non soltanto la volta successiva sta più attento, ma la multa comminata a lui funzioni da esempio per gli altri, li scoraggi alla velocità. Dicono gli utenti della strada: qual è il risultato che si vuole ottenere? Se lo scopo è la riduzione della velocità e una maggiore sicurezza per tutti, questo non si ottiene con le multe dell’autovelox. L'automobilista infatti non si accorge che gli è stata fatta la multa - lo scoprirà solo qualche settimana dopo, quando gli arriverà la notifica di pagamento - e quindi continua tranquillamente a correre e a mettere a rischio l'altrui sicurezza e la propria. Tanto più, aggiungono, che i vigili urbani hanno la deprecabile abitudine di non farsi vedere, di nascondersi. L'unico risultato che così si ottiene, sostengono, è quello di spillare denaro a chi sulla strada ci va per lavoro, di non ridurre il rischio, di creare antipatia e risentimento verso il paese di San Vito. Le ragioni del Comune sono chiare e comprensibili, ma anche quelle di chi va in automobile non ci sembrano campate in aria. Proviamo a riportare le cose ai loro termini essenziali. Le multe non possono essere un modo surrettizio di aumentare le entrate nelle casse dell'ente pubblico, nè ci pare onestamente che sia questo l'intenzione del Comune. La questione vera, allora, torna ad essere quella della sicurezza, dell'evitare incidenti. E, insieme con essa, c'è l'altro problema non secondario del rapporto tra istituzioni e cittadini. Reprimere serve poco, e comunque alla repressione occorre arrivare dopo avere tentato altre vie. Per un automobilista che incappa quel giorno e a quell'ora neIl’autovelox, altri diecimila in altri giorni e altra ora la faranno franca. Chi poi passa una sola volta per San Vito, magari a duecento all'ora, anche se c'è la macchinetta in funzione può fare tranquillamente una strage, e dopo si piange il danno. Dopo, ma prima? La direzione da imboccare, a nostro avviso, è quella della prevenzione, se veramente si vuole aumentare la sicurezza sulle strade interne del nostro paese. Se ci si pone in questa logica, gli strumenti possano essere tanti: rafforzamento della segnaletica attuale, aggiunta di altri segnali (cartelli, striscioni) che avvisano della presenza di un centro abitato e invitano a ridurre la velocità, apposizione di segnalatori luminosi (tipo semafori lampeggianti), vigili bene in evidenza sulla strada, che scoraggiano con la sola presenza, e non invece nascosti dietro i cespugli, a comminare multe ma non a evitare il pericolo. Sennò si entra in una spirale perversa: autovelox e multa ferox, auto veloci e multe feroci, e le cose restano tali e quali. Un'amministrazione democratica e progressista ha bisogno di distinguersi anche su cose di questa natura. Le multe le sanno dare tutti, chi vuoi cambiare deve provare a inventare altro: invitare, consigliare, educare, suscitare un clima di comprensione e di simpatia attorno ai suoi atti e all'intero paese di San Vito. Se poi, nonostante tutto, occorrerà adottare provvedimenti duri e multe feroci, beh, allora ben vengano per i testardi. Ma almeno ci si sarà provato, molti l'avranno capito e ognuno saprà cosa aspettarsi. (a.g.)

 

Tendopoli e tendenze (Giugno - Luglio 1994)

 

Si legge da qualche giorno, sul ponte stradale alla Marina, una scritta "TENDOPOLI" composta con bei caratteri di carta colorata. Le voci, a proposito di cosa stia ad indicare, sono alquanto disparate. C'è chi dice che si tratta di un’iniziativa della locale parrocchia, chi avanza interpretazioni un po' più maliziose, magari dopo aver dato un'occhiata al fiorire di tende, tendaggi e tendine che ogni estate si verifica laggiù nella Marina, In attesa di scoprire donde sia venuto il seme di tanta rigogliosa fioritura su asfalti e su cementi vediamo di individuare, visto che di tende si tratta, a cosa si tende e quale sia la tendenza. All'apparenza, e in buona sostanza, l'intendimento è quello di offrire un riparo dal sole e creare un ambiente dove permettere al passante diurno e notturno di consumare bibite gelati e pizze. E fin qui va bene, se la cosa funziona sono soddisfatti quasi tutti: il villeggiante, l'esercente, l'economia cittadina. Fine del discorso? Non proprio, manca qualcosa. Proviamo a fare un "piccolo" esempio, Parigi, e senza spaventarci del paragone. Circolando per quella città, pare proprio che ogni angolo di caseggiato debba avere il suo bistrot: una vetrina che si sporge a bovindo sul marciapiede, con all'interno i piccoli tavoli, le tovaglie colorate, gli avventori seduti, le baguettes, i boccali di birra, le bottiglie di vino. Chi passa avverte senza sentire il suono delle conversazioni a voce bassa, il rumore dei bicchieri e dei passi leggeri dei camerieri; chi sta dentro, riparato dal sole o dal freddo, osserva e partecipa alla vita della città separato solo da una lastra di vetro. Stanno dappertutto, modesti in periferia, accesi di colori sui grandi boulevards, ad ogni angolo. Danno il tono alla città, il tono della città. Scendiamo più a sud, torniamo alla Marina, chiediamoci se - sia pure in scala ridotta - qualcosa del genere avvenga con le tende e i patacconi di varia arte e ispirazione che qua e là spuntano a mo' di vegetazione spontanea e scomposta. Non ci pare, l'impressione complessiva non è quella di un disegno, di un tessuto, ma piuttosto di toppe appiccicate magari dove nemmeno servirebbero. Potrebbe essere diverso, nè siamo affatto contrari all'idea delle tende. E' come la cosa viene avanti che non va, non funziona. Si sfottevano quelli della Rocca per aver fatto la fratta al sole, e noi l'abbiamo fatta al mare, o piazzata in mezzo ad una strada, e sono fratte e frattaglie che per di più non riescono a scrollarsi di dosso la sensazione del fatto in casa, come le lasagne, col primo o con l'ultimo pezzo di tela. Non va. Lo spunto può essere interessante, ma va ripensato, risistemato, ricollocando le tende secondo una tendenza. Dove metterle, come farle - recuperando magari echi della nostra tradizione marinara, le vele - quale immagine complessiva trasmettere, anche attraverso di esse, di questo paese che si vuole turistico, quale ambiente creare, si tende al salotto o al mercato rionale? E' bene rifletterci un po' su, senza lasciare che le cose vadano avanti per inerzia e in assenza di riferimenti, tra lo spuntar di sagre varie e tende variegate, col rischio che il confine tra bazar e vera offerta turistica diventi tanto sottile da scomparire, e sarà tutto bazar.

Antonio Giannantonio

 

Dicono di noi ... (Agosto 1994)

 

Signori turisti e villeggianti, vi ringraziamo per aver scelto il nostro paese per la vostra vacanza. Così iniziava l’invito rivolto ai turisti in un incontro con il sindaco organizzato dal nostro periodico. È sicuramente molto raro trovare un’amministrazione disposta a sentire e ad informare, ora accade e ciò è stato molto apprezzato. I villeggianti hanno partecipato numerosi ponendo molte domande, evidenziando piccoli e grandi problemi, elogiando fatti positivi. Da molti, purtroppo, è stata evidenziata la scarsa pulizia delle spiagge libere, spesso piene di rifiuti abbandonati dopo improvvisati pic-nic. È un problema che sicuramente coinvolge l'educazione personale, al quale i turisti hanno consigliato di porre rimedio con una maggiore presenza degli operatori ecologici, ma anche con qualche bel cartello che inviti a non gettare i rifiuti. Sempre in tema spiagge è stato fatto notare la scarsa percorribilità delle calate al mare spesso invase da arbusti e sterpaglie e la carenza cronica di parcheggi nella zona del Turchino che scoraggiano la frequenza creando qualche pericolo poiché molti parcheggiano lungo i bordi della Statale. Sicuramente molto ha fatto l'Amministrazione per la pulizia delle calate con I’apporto dei cassaintegrati, ma è stato riconosciuto dal Sindaco che l'operazione è partita in ritardo e che l'anno prossimo si tenterà di fare meglio. In tanti hanno visto il preoccupante divieto di balneazione apposto alla foce del Feltrino e ne hanno chiesto ragione tempestando il Sindaco di domande sullo stato reale del torrente e sulle iniziative intraprese. Qualcuno ha anche proposto soluzioni e dato consigli apprezzando le iniziative già intraprese e lamentandosi di anni di disinteresse. Pulizia ed igiene sono gli elementi fondamentali emersi, ma non solo delle spiagge e strade; un distinto signore torinese ha chiesto ragione della chiusura dei bagni pubblici che creano notevoli disagi costringendo gli utenti a rivolgersi a quelli dei bar e stabilimenti balneari non sempre all’altezza della situazione e soprattutto insufficienti a soddisfare le esigenze in occasione di sagre e feste padronali. Un problema cui l'Amministrazione dovrà dare una soluzione, possibilmente prima dell’estate prossima. Una signora dallo spiccato accento lombardo ha chiesto notizia riguardo all'arretramento della ferrovia, dicendosi molto preoccupata dei possibili sviluppi speculativi, il sindaco ha dichiarato tutto l’interesse e l’impegno dell'amministrazione a conservare la costa cosi' com’è, impegnandosi a sostenere la proposta dell’assessore regionale Borrelli, che intende creare un parco marino proprio nel tratto di costa su cui San Vito si affaccia. Tra tante questioni è stata fatta notare la carenza cronica di strutture sportive e ricreative. E' indubbio che nel nostro comune, specie in confronto ad altre realtà del nord Italia, si riscontra una mancanza di tali attrezzature. Ciò è dovuto sicuramente ad anni di disinteresse, c’è chi ha preferito costruire nuove inutili tribune anziché nuove strutture. Una situazione non immediatamente risolvibile, ma il sindaco ha affermato che l’amministrazione sta cercando di reperire fondi e che tra non molto dovrebbe essere approvato il Piano Particolareggiato delle aree da destinarsi ad attrezzature sportive. Ci auguriamo veramente che qualcosa si riesca a fare al più presto. Un altro problema emerso e molto sentito è stato quello del traffico pesante sulla S.S.16 che crea notevoli disagi e pericoli. Il sindaco ha spiegato che San Vito paga il disinteresse dei comuni limitrofi che non si sono impegnati minimamente. Ha ricordato che a febbraio c'è stato un incontro con l'allora ministro Merloni e che gli amministratori di San Vito erano gli unici presenti dei comuni a sud di Francavilla. E' stata manifestata l’intenzione di farsi promotore di un incontro per sensibilizzare gli altri comuni a sud, non nascondendo le difficoltà di giungere ad una possibile soluzione in quanto i comuni attraversati dal traffico pesante dovrebbero contribuire al pagamento dei pedaggi autostradali dei camion e non tutti sono disposti poiché la quota si dovrebbe aggirare intorno alle 9000 lire per abitante. Queste, insieme a tanti altri piccoli e grandi problemi, sono sommariamente le questioni emerse dall'incontro. Una prima esperienza, che ha dimostrato la volontà dell’amministrazione di ascoltare, sentire critiche, segnalazioni e suggerimenti che serviranno per migliorare il nostro piccolo comune, definito da molti come una delle più belle terrazze sul’Adriatico.

 

Uno sguardo dal trabocco (Agosto 1994)

 

All’inizio era un'idea suggestiva, poi è diventato un progetto, adesso è in arrivo la legge. Il tutto in tempi così rapidi, sì e no un paio di mesi e nella calura estiva, che sembra quasi di avere preparato una massa e di trovarsela di colpo lievitata al punto giusto e pronta per i più vari tipi di cucina, comunque raffinata. Parliamo dei trabocchi. A giugno, sulla prima pagina di questo giornale, scrivemmo delle cose in proposito, accennando alle problematiche e prospettive legate a queste "architetture'': conservare il trabocco, i tanti trabocchi che segnano la costa chietina, quale testimonianza unica di un rapporto in via di estinzione fra uomo e natura; salvaguardare l'aspetto artistico è paesaggistico di questo tratto di costa segnato dal trabocco; impedire - anche al fine dell'indispensabile manutenzione - che si estinguano perizie e tecniche costruttive che, nella condizioni attuali, non avrebbero mercato e quindi perirebbero. E' un'idea, si badi, che se parte da considerazioni culturali - e già questo sarebbe un merito - ha comunque una valenza anche economica, venendo a sottolineare una tipicità, un qualcosa di veramente irripetibile della costa chietina, fruibile qui e non altrove. La salvaguardia e la valorizzazione del trabocco, pertanto, vengono ad inserirsi in una visione di sviluppo culturale, turistico ed economico che tiene conto del complesso mare/montagna, (forse mai fisicamente così contigui come in questa zona) inteso non solo nei suoi aspetti naturalistici ma anche per la presenza viva e creativa dell'uomo, che ha saputo collocarvi autentiche opere di ingegno e di arte come appunto il Trabocco. Il valore, la portata generale dell'"idea-trabocco", è stata ben colta dall'assessore regionale al territorio e ambiente, Luigi Borrelli - gliene vogliamo dare pubblico riconoscimento - che l'ha subito trasformata in un disegno di legge, già approvato dalla Giunta e in procinto di essere adottato in via conclusiva dal Consiglio regionale. Nella legge sono previsti gli interventi per il censimento dei trabocchi, la rilevazione delle caratteristiche di ciascuno, i finanziamenti per la conservazione e la manutenzione. E' uno strumento importante, questo in via di approvazione definitiva. Permetterà ai proprietari privati o pubblici dei trabocchi di accedere a finanziamenti fortemente agevolati per le opere di salvaguardia e conservazione; permetterà a questa parte di costa di non vedere distrutto uno dei suoi patrimoni più belli; permetterà a questa parte del territorio - ai suoi abitanti alle sue attività economiche e turistiche - di incrementare le attrattive, il "valore di mercato''. Va bene, quindi. Ma è solo un passo iniziale, sia pure di grande importanza. La considerazione generale, quella che non bisogna mai dimenticare ai fini dello sviluppo economico che può derivare dal turismo, è che questo è un tratto di mare "bello e scomodo" che richiede un turista particolare, non "di massa", che sappia cogliere e apprezzarne le ruvida bellezza. La partita si gioca quindi da una parte sulla salvaguardia di queste caratteristiche, dall'altra parte sul versante decisivo dei servizi: tipo di ricettività, verde, pulizia, tempo libero, offerta culturale e ricreativa, conservazione del patrimonio storico-artistico, dell’"identità" del nostro paese. Bisogna tendere in queste direzioni, con uno sforzo congiunto, una convergenza di azione fra pubblico e privato. E’ la scommessa, è la direzione di marcia dei prossimi mesi ed anni. Per un giorno, il 19 agosto scorso, San Vito è stata su tutti i giornali, su tutte le emittenti televisive, non per le brutture del Feltrino ma per l'intrico dei suoi trabocchi, il verde della sua costa, l'interesse delle sue idee. Ma anche il Feltrino, questo nostro Calimero, non è nero, è soltanto sporco. Mettiamoci mano, tutti, facciamolo tornare fresco di acque, ricco di anguille e ombreggiato di pioppi.

 

Feltrino (Se non ora, quando?) (Settembre 1994)

 

Insieme con il corso del fiume, c'è sempre il rischio che anche il problema Feltrino possa marcire. Il pericolo si annida tra le brume dell'autunno e nel freddo dell'inverno. Come una serpe in letargo, con l’accorciarsi delle giornate anche la questione Feltrino si assopisce e sembra perdere il suo carattere di pericolosità, l'insidia; per poi risvegliarsi ai tepori primaverili e colpire nel cuore dell'estate. E' da tempo che va così e la cosa peggiora di anno in anno. Grida, lamenti e indignazione a ferragosto, noncuranza a Natale e nelle altre feste comandate. L'approccio va rovesciato: agire d'inverno per non pensarci, mai più, d'estate. Il problema Feltrino dobbiamo cercare di risolverlo ora, a partire da questi giorni e lavorandoci sopra nei prossimi mesi e per tutto il tempo necessario. L'inverno non deve passare invano.

D'estate non si può più intervenire, il guaio è lì, davanti agli occhi e al naso di tutti, quel ch'è fatto è fatto. E magari col caldo e la poca voglia di cucinare aumenta il consumo di mozzarelle e caciocavalli, e la cosa c'entra, e come, col Feltrino... Il degrado del fiume va avanti da trent'anni e ora si teme Io sfascio. Per tre decenni gli amministratori democristiani di Castel Frentano, Lanciano, Treglio e, perché no, San Vito - la felice combriccola con l'allegra comare - hanno fatto scaricare liquami nel corso d'acqua, alleggerendo in questo modo le fogne comunali e le coscienze personali. E si continua ancor oggi, con l'ironia di una San Vito che, sola, si è dotata di una specie di depuratore, cosicché si ripuliscono più o meno le nostre acque, spendendo soldi, e si va poi a rimischiarle, prima della foce, a quelle luride del Feltrino... e buonanotte al secchio. Roba da Totò, o da Tonì. Ma non c'è stato solo questo. Alle colpe, mai abbastanza sottolineate, di quegli amministratori comunali - e regionali, e nazionali - ha fatto seguito come uno sciame l'inerzia, il silenzio e finanche la complicità di quegli stessi, addirittura, che erano direttamente colpiti e danneggiati nei propri interessi. Per parlarci chiaro: cosa hanno fatto, in tutti questi anni, gli operatori turistici, i negozianti, gli affittacamere, i ristoratori, i gelatai, i costruttori, i baristi, i locatari di ombrelloni e appartamenti, quelli che pur dai villeggianti, vivaddio, traggono una parte non trascurabile delle loro entrate. Quale voce, quale protesta si è levata contro il degrado causato e inarrestato del Feltrino? Non è prevalsa, nei decenni - per quelle figure professionali e magari anche, che so, per gli agricoltori che con quell'acqua irrorano orti e ortaggi, e per la maggior parte della cittadinanza - non è forse prevalsa la regola del "si sa ma non si dice"? Per cui zitti a far finta di non vedere, di non sentire, non si critica nè si protesta, per le due "buone ragioni di non urtare uomini e donne di potere, che qualche favoretto possono sempre farlo; e per "non spaventare" i turisti, quasi che chi viene in vacanza qui lasci sul comò di casa naso e occhi e vada in giro per la Marina con la sveglia al collo. Ed eccolo il risultato di tanto "buon senso": fiume ridotto a un putridume e turisti indignati o preoccupati, a scelta. Li abbiamo sentiti, i villeggianti, nell'incontro a fine estate con l’attuale sindaco: o si ripulisce il Feltrino o non veniamo più, hanno detto, papale papale. Questi fatti e comportamenti (passati?) bisogna pur ricordarli, una buona volta, per sgombrare il campo da equivoci e furbizie e affrontare la questione Feltrino con ben diverso atteggiamento. Ora ci sono due fatti nuovi, anzi tre, se ci mettiamo pure la voce dei turisti. All'inizio dell'estate la Marina è stata invasa dal fetore e il Feltrino e il mare dai vermi. Vermi rossi e pasciuti, "allegramente" nutriti a latte e yogurt in caseifìci di Lanciano e poi mandati a svagarsi sul bel Feltrino blu. Pesavano un paio d'etti l'uno e nuotavano beati. Sembrava il set di "VERMINATOR 3/ La Pacchia". L'altro fatto nuovo è che c'è stata un’amministrazione comunale, questa della Ginestra, che ha rotto finalmente la crosta, ha chiamato la stampa, le tv, ha convocato le autorità con e senza divisa, e li ha messi di fronte a quei coccodrilletti rosa: ecco come ci hanno ridotto, guardate con i vostri occhi, e poi parlate, scrivete, denunciate, agite, per la miseria! E non contenta, li ha messi in fila e hanno risalito insieme il fiume, dalla foce fino a Lanciano. Hanno trovato di tutto: e giunga l'immaginazione del lettore laddove, per disgusto, non intingiamo la penna. E' stato uno choc positivo. L'invasione dei rubicondi esseri, il coraggio del Comune, la partecipazione dei turisti hanno finalmente aperto una discussione che può diventare proficua. Fra i cittadini si parla del problema, l'amministrazione comunale ha compiuto altri significativi passi, ha investito della questione le autorità e la magistratura, ha convocato i sindaci dei Comuni che gravitano sul Feltrino, ha chiesto che si assumano le loro responsabilità. La stessa scelta di dar voce ai turisti, per ascoltarne pareri e suggerimenti, rafforza il legame tra questi e San Vito: chi critica e propone è più invogliato a tornare, alla condizione che qualcosa, Feltrino anzitutto, cominci a cambiare. Ma l'inverno incombe e il governo non aiuta. Anzi. Questa "nuova" Repubblica, che non è "seconda" a nessuno nel creare problemi invece di risolverli, ha fatto ad inquinatori e scaricatori di liquami il regalo di depenalizzare i loro reati, cosicché tutt'al più rischieranno una multa, se trovano chi gliela dà. I vermi ringraziano e ingrassano, l'anno prossimo peseranno mezzo chilo e metteranno le pinne e gli occhiali. Se non ci muoviamo. Perché si può fare se si vuole come dimostra l'azione che magistratura e carabinieri pur stanno compiendo sul Sarno, il fiume campano simile al Feltrino per dimensioni, degrado e, guarda caso, anche nel nome (il tratto, l'affluente più inquinato del Feltrino si chiama Arno, la differenza è una esse...). Però non deve sopravvenire il letargo solito dell'inverno. Pensare che d'ora in poi, da sole e senza ulteriori stimoli, le amministrazioni di quegli altri Comuni mettano il Feltrino in cima ai loro pensieri; che spendano a cuor leggero soldi per depuratori fogne e quant'altro, opere i cui effetti sarebbero avvertiti dagli abitanti e frequentatori di San Vito e molto meno dai loro concittadini; che non decidano invece di utilizzarli, quei soldi, per altre cose che rendano loro di più, anche in termini elettorali: beh, pensare tutto questo sarebbe pia e colpevole illusione. Come anche - con tutto il rispetto dovuto - non si può escludere che su altri e decisivi poteri possa influire un clima governativo e politico che oggi pare più favorevole agli inquinatori che agli inquinati. Di fronte a questo scenario e ai suoi reali pericoli, non può certo bastare la voce grossa del nostro sindaco e dell’amministrazione comunale. Occorre che le pur giuste, e magari ancora più severe, posizioni assunte dal Comune siano sostenute e rinforzate dal consenso e dalla partecipazione della cittadinanza, dei più diretti interessati, dei giovani, della parte attiva della popolazione. Questo giornale è stato forse il primo a sollevare, in maniera esplicita e a livello di massa, il sipario sul Feltrino. Parte perciò da questo giornale una proposta: facciamo un incontro sulla questione, a breve, fra amministrazione comunale e operatori economici di San Vito. Mettiamo a punto lo stato del problema, sfaldiamo le possibilità di soluzione. La sede della Ginestra è a disposizione per ospitare l'incontro. E poi, con quelle ipotesi in mano, andiamo a confrontarci con gli altri concittadini, con le altre categorie, sul territorio. La risoluzione dei guai del Feltrino interessa tutti, per ragioni economiche, per la qualità della vita, per il sacrosanto attaccamento al proprio paese. Adoperiamo questi mesi per preparare un'estate migliore e un Feltrino più presentabile, evitiamo il letargo invernale. "Nn' ha da' passà a nuttate", non inutilmente, almeno.

antonio giannantonio

 

ISTRUZIONI PER L'USO (Settembre 1994)

 

La lunga estate calda dalla quale, in verità, non siamo ancora usciti (ed è la metà di settembre, mentre scriviamo.) ha provocato lo spappolamento di molti cervelli, a partire dal nostro. Era inevitabile, se consideriamo che dalla liquefazione cerebrale non è rimasto immune nemmeno chi, non fosse che per il nome, avrebbe dovuto fruire di fresca ombra di palma... se ci capite. Però, dato che la necessità è solita acuire l'ingegno, l'insostenibile pesantezza del caldo ha aguzzato lo spirito di osservazione di certuni, che ci hanno rappresentato una situazione verificabile laggiù nella Marina, terra di scogli e di chimere. Tra la chiesa e la strada che porta a Lanciano, a livello della prima rampa di gradini e sui due lati di essi, ci sono dei giardinetti che, nel generale disinteresse e grazie a quello, hanno generato un’invidiabile vegetazione di pini e di allori. Lauri odorosi e conifere, si può dire, rigogliose e di ampia chioma. Di modo che nel sottostante terreno soffice di fresco humus si genera un ambiente che contrasta vivacemente con la canicola circostante. Insomma, per dirla in dialetto, mentre intorno si suda e si schiatta, là sotto c'è un fresco della madonna, data anche la vicinanza. Paradiso solo da rimirare, però, a meno di essere un orango tango. I giardini, infatti, sono scrupolosamente circondati da inaccessibili muri sui quattro lati. Ma ve l'immaginate una quarantina di persone - anziani, giovani, mamme e bambini - alle tre del pomeriggio del dodici agosto sedute là sotto, magari col pullover, a godersi l'ombra mentre dalle finestre radio e tivvù annunciano termometri impazziti e siccità sahariane? Sarà una chimera, ma in fondo bastano un paio di rampe d'accesso - dei gradini di legno, per intenderci - da mettere lì in estate, qualche panchina sotto gli alberi, e il gioco è fatto, ci si può anche accavallare le gambe e aspettare l'autobus leggendo il giornale. Giriamo la proposta al Comune, gratis.

 

Due vite (Ottobre 1994)

 

Uscivamo in barca la sera, sul "motoruccio" bianco e azzurro di Nino che Emilio, falegname come pochi, aveva provveduto a attrezzare all'interno e render adatto anche alla piccola pesca che per diletto ogni tanto si organizzava. Era di questi giorni, pressappoco, a tempo di triglie. Si mollava la cima che legava il battello all'anello del porto, un paio di colpi alla pompa della nafta, il bottone di avviamento e il piccolo motore diesel partiva col suo pulsare regolare e rassicurante, come un muscolo cardiaco tra le costole di legno dell'imbarcazione. Loro, Emilio e Nino, erano pratici a muoversi con i gesti e l'attrezzatura essenziali nel ridotto spazio di bordo, noi lo eravamo molto meno e, a, rigore, la nostra presenza sul battello era più di impiccio che altro, ai fini delle operazioni di pesca. Era giustificata solo dall'amicizia, che era poi il vero significato di quelle uscite, insieme con l'amore per il mare, per i suoi silenzi, per quelle notti umide trascorse scalzi con un maglione di lana sopra i pantaloncini corti, ritti a poppa, specie Emilio, con la barra del timone fra le gambe e la brace della sigaretta a segnare la posizione del viso nella brezza. Dietro, le "porte" si allargavano nella scia, a tenere aperta l'imboccatura della minuscola rete a strascico. In una nottata si riusciva ad andare un paio di volte da Turchino alla Mucchiola, ad una distanza dalla costa nemmeno tanto ridotta, ma non fino ad arrivare là dove passano i pescherecci, quelli veri; salvo che una notte, quando proprio non si riusciva a prendere niente e ci spingemmo molto più fuori. Scoprimmo un mondo inatteso, là, con le luci della terra che non si scorgono più e un mare nero e gonfio, quella volta, e il freddo, e il buio fitto frequentato di altre luci, di rumori, da una umanità al lavoro sull'acqua, la normalità di una situazione irreale. Di Emilio seguimmo poi, giorno per giorno, l'aggressione della malattia, fino alla notte in cui si spense, mentre già al mare era in corso la festa del partito cui con naturale evoluzione era approdato, lui socialista di lontane origini. Nino passammo a salutarlo in ospedale, alla vigilia di un viaggio di lavoro che ci portò molto lontano. Ci demmo appuntamento di lì a qualche giorno, e lui mancò, all'incontro. Avevamo la stessa età, compagni di scuola all'elementare, e ci tocca ricordarlo...

I ragazzi che in questi giorni hanno avuto il merito di entrare nella rosa del Premio "Nino D'Amato" sappiano che quel riconoscimento è legato ad una persona così fatta, che godeva dell'andare a pesca con gli amici, che svolgeva la sua attività professionale, curava la famiglia e dedicava parte del suo tempo agli altri, impegnandosi nella attività politica, nel suo partito, nella Ginestra, e in quella amministrativa al Comune. Questa terra non ha bisogno di "eroi", è stato già detto, ma della tranquilla forza dei Nino, degli Emilio, della loro "normalità", della moralità che ha guidato la loro vita, rischiarata dalla luce proveniente dal versante giusto della politica, quella in cui ci si impegna e in cui si crede non per la ricerca di prebende personali, ma per intervenire sugli assetti della società, per renderla migliore. Perciò vogliamo ricordarli, e insieme, non solo per l'amicizia e la comunanza di valori che a loro ci legavano, ma per testimoniare di due esistenze in cui l'unica cosa ingiusta è stata la fine prematura.

 

Mille storie, cento racconti (Ottobre 1994)

 

E' passata la guerra, a San Vito, i tedeschi, gli alleati, ci sono stati occupazione, sfollamento, fame, disagi, morti, e poi la Liberazione. C'erano le paranze, a San Vito, e dopo i motori, le lampare, al largo passavano i trabaccoli; per portare la Madonna in processione sul mare non si doveva ricorrere alla marineria di Ortona, e c'erano sulla spiaggia una torre, una chiesa, gente al lavoro e al commercio. I marinai scendevano a piedi dal colle che era ancora notte, per i gradini che essi chiamavano "la via della Marina" e chi abitava sotto la conosceva come "la via del Paese". Si "assegnava" la dote della ragazza pronta al matrimonio, "sedula sequi virum" diceva il poeta latino, e c'erano le esperte di quella delicata operazione pur sempre esposta a dissapori e acidità future. E il ricevimento, e il pranzo nuziale, erario preparati in casa, giorni e giornate a infornare cellipieni e cannoli e bocconotti, a bollire galline, ad ammassare farine doppio zero e cappella, a sbattere chiari e rossi d'uovo, a mescolare alkermes e kummel. Come per la vendemmia, la mietitura del grano, la raccolta delle olive, anche i preparativi della cerimonia nuziale chiamavano all'opera parenti e vicini, il favore oggi a te domani a me. C'era, in campagna, da "cucinare per gli uomini", con ciò intendendo l'abbondante pranzo (e l'altrettanto generosa dose di vino "cacciato", spillato dalla botte) da portare negli stari sulla testa a chi stava lavorando al raccolto, uomini venuti in aiuto o a giornata. Il pasto, di qualità e quantità adeguati, faceva parte della consuetudine e del "contratto". C'erano i balli, organizzati (ma si diceva "mettere" il ballo, ci pare di ricordare) in qualche rimessa di paese o all'aperto in campagna, la conoscenza musicale era più diffusa che in questi tempi che pur sono pieni di musiche, allora apprendere uno strumento - chitarra, violino, mandolino - era naturale, ricordiamo più d'uno che sapeva suonare bene e leggere e scrivere a malapena o punto. C'era la vita delle botteghe, il falegname, il sartore, lo scarparo, il barbiere, coi suoi calendarietti profumati e ingenuamente licenziosi ("giunto non era ancor Sardanapàlo / a mostrar ciò che in camera si puote"); e la vita di cantina, tra i tressette e la scopa e un quarto e una gassosa. Nostalgia? No (ma se anche fosse...?). Solo un grattare la superficie, con le unghie, e accorgersi di quanta materia giace lì sotto, appena ricoperta da un po' di polvere e terriccio accumulati dal breve tempo trascorso. Quante storie, quanti racconti, membra sparse del nostro tempo ancora viventi e non raccolte, quante parole non dette, tuttora conservate nei cervelli e nei ricordi dei nostri concittadini di età più avanzata, gli anziani e i vecchi di San Vito. E ognuno di loro che ci abbandona, è inesorabile, ne porta via un pezzo per sempre, con ciò privandosi essi della possibilità di lasciare una traccia, una testimonianza; e privando chi resta dei frammenti indispensabili a costruire il quadro, il mosaico della nostra storia collettiva. Se, nella prima pagina di questo giornale, parliamo del "patrimonio" rappresentato dalla parte anziana e vecchia della nostra popolazione, ci riferiamo anche a cose di tale natura, che sarebbe colpevole consegnare alla distruzione. Il giornale che state leggendo, La Ginestra, non ha molte forze, solo un gruppo di volenterosi che ogni mese compie l'impresa di farlo uscire. Ma vogliamo metterci a disposizione per raccogliere le mille storie latenti per San Vito, trasformarle in cento racconti, pubblicarle. Ci riusciremo, e vogliamo riuscirci, tanto più quanto altri ci aiuteranno: innanzitutto gli anziani e i vecchi, di ogni età e professione, ma anche i loro figli e nipoti, i conoscenti, coloro che hanno visto o ascoltato, impegnandosi anch'essi a raccogliere le testimonianze, le storie di vita, a trascriverle se vogliono o a segnalarcele. E' qualcosa che dobbiamo al nostro presente, alle generazioni future e soprattutto a coloro che hanno vissuto e ancora vivono, e sanno.

Sole basso/ Breve racconto (Ottobre 1994)

Il Pescatore cominciò a sentirne i rumori quando ancora si trovava a metà pendìo, un cespuglio smosso, qualche canna scostata, una rara pietra che le scivolava davanti ai passi sul sentiero polveroso per arrestarsi in un grumo di ginestre, pochi metri più sotto. Non l'aspettava, sapeva però che sarebbe venuta. Nel sole basso l'ombra di lei gli scivolò sul dorso, poi sul cappellaccio che aveva in testa, allungando e confondendo il suo riflesso sulla superficie dell'acqua, e infine si raccorciò al suo fianco. Lei gli sedette accanto, appena un po' indietro. Portava sandali verdi. Il Pescatore seguitò a togliere l'esca sfilacciata dal piccolo amo che reggeva sull'indice della mano destra. – Che fai? -disse lei, dopo un po'. Il Pescatore mise la metà di una seppiolina su un sasso piatto che aveva tra le ginocchia, tirò fuori dalla cassetta un temperino, appoggiò la lama affilata sulla carne lattea a forma di vela della seppia, ne tagliò una striscia di poco più di un centimetro e la ficcò nell'amo. Rigirò poi il ferro e lo fece entrare di nuovo nella fettuccia di pesce, lasciandone appeso un pezzetto. Infilò con delicatezza la punta dell'amo in quel residuo, la fece scorrere e la nascose infine dentro la carne bianca. - Lo vedi - disse. Lei gli posò la mano sulla spalla e appoggiò il capo sulle dita Ne sentiva i capelli attraverso la maglietta di cotone e sulla pelle del braccio. C’era una bonaccia assoluta. - Vado - disse lei semplicemente. Nel galleggiante ci fu un movimento impercettibile che l'acqua non sembrò registrare, la curva della lenza restò lasca nella sua ombra. Un sandalo verde si ritrasse un poco, come cercasse un appoggio per sollevarsi. L'uomo non disse nulla. - Io vado - lei ripetè. Il cappello si mosse come se il Pescatore annuisse. Passò ancora qualche tempo. - Te ne vai per sempre - disse lui alla fine senza voltarsi, come se concludesse un lungo discorso. - Sì - lei rispose alzandosi. Il Pescatore sentì uno strappo, violento. Il galleggiante fu spinto con forza sotto l'acqua e il puntale della canna si piegò vibrando. Si rimise in piedi. Il grosso pesce all'altro capo tirava, ne sentiva i muscoli tesi nelle mani e lungo le braccia che trattenevano la canna. Ora, si trattava solo di attendere, dare qualche metro di filo con la frizione del mulinello appena allentata, recuperare un po', dare ancora filo e continuare, fino a prendere l'animale per stanchezza, senza forzare altrimenti il piccolo amo che aveva montato non avrebbe retto. Bisognava fare così. Un sasso rotolò dal sentiero sabbioso, dietro passi che si allontanavano. L'uomo cercò con le dita la levetta della frizione e la sbloccò di botto. Il pesce partì di scatto, facendo risuonare la lenza dentro, gli anelli della canna. Il Pescatore aspettò che una diecina di metri di filo se ne fossero andati, piantò le gambe, chiuse il mulinello e diede un colpo secco all'indietro. Il filo si tese fin quasi a rompersi, poi ricadde. Il Pescatore lo recuperò senza fretta, controllò l'amo, lo trovò deformato ma integro come aveva pensato. II pesce ce l'avrebbe fatta, pur portandosi dietro una lacerazione forse profonda da qualche parte. Sarebbe vissuto, in attesa che rimarginasse. L'uomo si piegò sulle ginocchia e cominciò a radunare le sue cose, raccogliendo gli ami, gli attrezzi, i fili sparsi. Li riunì con ordine, ognuno nel suo scomparto, e richiuse la cassetta, mentre il sole calava ancora di qualche palmo, al di, là delle cime dei cespugli.

 

Recessi & Lapsus (Novembre 1994)

 

Il Viaggiatore percorse gli ultimi metri e uscì dal vicolo, sentendo ancora più crescere dentro la tensione e il senso di impotenza. Anche quell'ultimo tentativo non aveva sortito risultato. Avvertiva che la disperazione si stava impadronendo di lui. Sgretolando l'ingenua baldanza con cui aveva iniziato la ricerca, fiducioso in un esito immediato. Si trovava in quel paese sconosciuto ormai da sette ore, da quando aveva lasciato la macchina nella piazza e dato inizio al lavoro. Aveva visitato negozi, botteghe, magazzini, aprendo e ovunque illustrando il suo catalogo, spiegando le qualità della merce, convincendo. Non aveva sprecato il suo tempo, ordini forse minimi, ma un certo numero di nuovi clienti acquisiti: una buona giornata. Era stato allora, come quasi sempre gli accadeva a fine giro, che qualcosa gli si era mosso dentro ed era scattato impellente lo stimolo, che lo spingeva alla ricerca, alla caccia. Non era la prima volta, e sarebbe successo ancora, lo sapeva; come sapeva che doveva trovare ad ogni costo l'oggetto che avrebbe soddisfatto il suo bisogno e placato l'ansia. Ormai da tempo aveva capito che era inutile cercare di resistere all'impulso irrefrenabile che lo assaliva, sperava solo che nessuno si accorgesse della sua condizione, del viso tirato, delle membra contratte. Quand'era in quello stato, doveva cercare posti riparati, luoghi appartati dove poter dare sfogo ai suoi istinti. Nessuna doveva vederlo allora. Ma trovare la cosa desiderata in quel paese silenzioso e ostile sembrava impossibile e quell'ultimo vicolo - all'apparenza riservato e in realtà rivelatosi poi così pieno di finestre come i buchi nella groviera - aveva fatto crollare le residue speranze. Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, ed era ormai al limite della tenuta. Cercando di ricomporre i lineamenti, si guardò intorno e scorse un vecchio seduto sul bordo di una panchina, al margine della piazza. Gli ripugnava ma doveva farlo, forse lui poteva aiutarlo, e tacere. Si avvicinò. "Cerco un viccì" - disse tutto d'un fiato. Il vecchio lo guardò perplesso, dietro le palpebre sonnolenti. "Un diccì? Caro signore, dovevi pensarci prima. Qui di diccì non se ne vedono più da almeno un anno, gli ultimi sono passati a Forza Italia". Il Viaggiatore assorbì il colpo, in fondo se l'era cercata, interpellando un vecchio analfabeta. Si allontanò, in direzione di un'altra panchina e verso un tipo col giornale aperto davanti. E' sui sessanta, pensò, lui dovrebbe capirmi. Gli si sedette a fianco e: "Sa dirmi qualcosa circa una ritirata?" sussurrò, scegliendo un linguaggio forse un po' autarchico ma sicuramente adatto all'età dell'interlocutore. Costui richiuse il giornale, alzò gli occhiali sulla fronte e, rivelando insospettati orizzonti storico-politici, cortesemente si informò a quale ritirata si riferisse, se a Caporetto, se a quella dei tedeschi nell'ultima guerra, oppure a quelle del governo: poteva parlargli a lungo di ciascuna, se aveva tempo. Il Viaggiatore emise uri sospiro di rassegnazione, alzandosi. Stava sbagliando l'approccio, si disse, con quei paesani ci voleva un linguaggio diretto, privo di fronzoli o allusioni. Si avviò risoluto verso una bottega di barbiere, lì di fronte. "Cerco il cesso comunale", esordì senza mezzi termini spingendo la porta. Il camice celeste del barbiere rispose senza voltarsi: "Venti metri, il palazzo di fronte, ai vigili urbani". Il Viaggiatore sentiva crescere l'esasperazione di pari passo con le dimensioni della vescica. "Ho detto cesso, c-e-s-s-o – sibilò - non messo comunale, non so che farmene di una guardia!" urlò quasi. Il barbiere si volse, soppesandolo con diffidenza non priva di commiserazione, poi gli girò nuovamente la schiena, tornando alle basette del cliente. "Avevo già capito. E' sempre ai vigili urbani", ripetè. "In questo paese cesso e messo sono vicini, nello stesso edificio. Il messo a volte funziona, il cesso mai". E richiuse discorso e porta in faccia al Viaggiatore. (a.g.)

Il tema ci è tornato alla mente dai... recessi della memoria e, tanto per non rifare il verso, questa volta abbiamo scritto in prosa e in italiano. Che ne pensa l'amministrazione comunale, ce la faremo? Si spera o si crepa?

 

La nave va (Novembre 1994)

 

L'elenco che pubblichiamo è nutrito e testimonia, con tutta evidenza, il salto di qualità (e di quantità) che è stato compiuto nel passaggio dalle vecchie amministrazioni democristiane a quella nuova della Ginestra. Nuova, e perciò doppiamente penalizzata.

1)Penalizzata perché ogni nuova compagine deve necessariamente scontare un periodo di "apprendistato", cominciare a conoscere e prendere in mano la "macchina" comunale, per poterla poi guidare nella direzione e verso i traguardi promessi. E questo richiede tempo, fatica e applicazione. 2) Penalizzata perché "erede" degli errori e dei ritardi delle amministrazioni che l’hanno preceduta, col rischio sempre presente (rischio che in molti casi si è trasformato in una realtà) di doversi attardare a sanare i guasti ricevuti in lascito, con ciò perdendo non solo tempo ma anche denaro che avrebbe potuto essere impiegato in ben altre opere e iniziative. Tracce di tali situazioni si scorgono bene, e dolorosamente, anche nel resoconto tracciato qui sopra (vedi ad es. la voce "debiti"). Ma se è doppiamente penalizzata, una amminiristrazio nuova è anche, almeno per un aspetto, avvantaggiata. Essa sa che è stata scelta per fare cose diverse: se la popolazione ha voluto cambiare, è perché non era più soddisfatta di quello che passava il convento. Si tratta quindi, anche in questo caso di individuare i due aspetti con i quali deve manifestarsi la diversità, la novità rispetto al passato.

Una prima faccia della medaglia è stata già messa, con i fatti, in evidenza. Ci riferiamo alla "buona amministrazione" posta in essere in questi dodici mesi, all'operosità, onestà, trasparenza dimostrate dalla squadra nuova che guida il Comune. La situazione dell’Italia e di San Vito è tale che anche una "normale" amministrazione, efficiente e pulita, rappresenta una novità sconvolgente e spesso nemmeno realizzata. Nel nostro Comune ci stiamo riuscendo, nell'Italia, in generale, pare proprio di no. E' questo il primo motivo per cui la popolazione ha votato la Ginestra, e siamo sicuramente sulla buona strada. Il secondo aspetto di diversità richiesto e contenuto in quel voto riguarda temi di più ampia portata. Ci riferiamo all'assetto urbanistico, al rilancio delle attività produttive, allo sviluppo turistico, alla risoluzione dello scandalo del Feltrino, ad un rapporto nuovo - più intenso e aperto - tra Comune e cittadini; e ancora: a quali risposte dare alle esigenze dei giovani, degli anziani; al ridisegnare la faccia della Marina, per restituirle finalmente una "vivibilità"; ai temi della cultura e del tempo libero. Solo per citare i più grossi, fra i problemi che ci sono davanti e aspettano una soluzione. Soluzioni, non miracoli. Non sfugge a nessuno la portata di questi problemi, le enormi difficoltà connesse, la scarsezza di risorse disponibili. Ma laddove non arrivano i soldi devono arrivare le idee. I soldi servono alla fine del percorso, ma sono le idee, il confronto sui temi e sulle questioni a indicare le strade da imboccare e le soluzioni da adottare. Mentre si continua con la buona amministrazione, occorre aprire un'altra partita, il discorso sulla prospettiva. Alcune direzioni di marcia le abbiamo ricordate, ripescandole tra l'altro dal programma amministrativo della Ginestra. Bisogna porre quei temi all'ordine del giorno. La barca del Comune deve essere sempre guidata con due strumenti: il timone, per governare sotto costa e a vista; e la bussola, per navigare verso spazi più aperti e nuovi orizzonti, sapendo da quale porto si è partiti e, soprattutto, a quali nuove terre si vuole approdare.

Ci hanno votato per questo, per cambiare.

(Antonio Giannantonio)

 

Il colore della verità (Gennaio 1995)

 

Scrive don Luigi sul Bollettino Parrocchiale: "Sulla cerimonia in Municipio, la nostra amministrazione, la Ginestra, ha pubblicato una poesia polemica e irrispettosa verso i partecipanti e in particolare verso il parroco del centro: non è la prima volta che fa di queste poesie irriguardose. Col disprezzo verso gli avversari non si favorisce l'unione dei cittadini. E, come sacerdote, vorrei dare qualche consiglio a chi è l'animatore di questa pubblicazione: l'obiettività dell'informazione educa i cittadini, il dialogo onesto crea rispetto e amicizia, l'unione dei cittadini porta avanti il benessere del Comune. Certe considerazioni non fermeranno il lavoro pastorale di noi sacerdoti: anche Cristo ha avuto consensi e dissensi."

Caro don Luigi, ci consenta (direbbe il Cavaliere): le sue parole sono ingiuste. Primo, perché mancano della cristiana carità che si deve ai peccatori, se ci considera tali. Eppoi, suvvia, un sorriso. Scomodare per una poesiola concetti come disprezzo, avversari, attentato al lavoro pastorale: e quando mai! direbbe il giudice Di Pietro. Anche Cristo, cui lei più o meno si paragona, qualche volta avrà pur sorriso, durante i suoi brevi 33 anni. Lei che di primavere ne ha conosciute un po' di più, si conceda ad una visione della vita meno accigliata, più rilassata. Ne guadagnerà anche il suo lavoro pastorale, ci creda. E soprattutto eviterà di diventare un'altra volta verde, come noi, da scrupolosi cronisti, abbiamo riferito. Perché, veda, nell'attimo fuggente lei ha assunto veramente quella colorazione: non verde smeraldo, ci mancherebbe, nè verde bottiglia, neanche verde sottobosco, ma verderame sì, è certo. Quel colore che è testimonianza di austerità sulle cupole delle cattedrali e sintomo di sgomento sulle facce degli umani. E' andata così, non se la prenda, non è colpa sua, e tantomeno nostra: al colore non si comanda. Ma soprattutto lei cade in una curiosa confusione quando scrive "la nostra amministrazione, la Ginestra, ha pubblicato una poesia...". La nostra amministrazione, caro don Luigi, non ha pubblicato un bel niente; o forse lei sospetta che la Giunta si riunisca per comporre poesie? Quei versi, innocenti e incriminati, sono apparsi su un giornale, la Ginestra che con l'amministrazione comunale c'entra suppergiù come il suo Bollettino con la Città del Vaticano, cioè niente. E sono stati scritti da un bontempone, tale sdp a noi noto, incapace e restìo a discutere di argomenti seri, o semiseri, o seriosi. Tant'è che, interpellato, non solo ha rifiutato ogni commento, ma è diventato addirittura rosso. Colori che vanno, colori che vengono. Ma giacché l'argomento cade a proposito, vediamo di precisare la questione una volta per tutte. Questo giornale è edito dalla Ginestra, e ne porta il nome. L'amministrazione è stata eletta dai cittadini per dirigere il Comune, che è tutt'altra cosa. Se ci occupiamo del Comune, pubblichiamo notizie e interviste sulla sua attività, lo facciamo per rendere un servizio alla popolazione, informarla e metterla in condizione di giudicare. Come giornale abbiamo condotto una lunga battaglia contro le precedenti amministrazioni non per posizione preconcetta, ma per le colpe di cui si erano macchiate e per la loro attività contraria agli interessi cittadini. Il nostro spirito è libero e la nostra collocazione autonoma, e questo va riconosciuto a merito della Ginestra, che finanzia il giornale senza interferire con le sue scelte. Guardiamo con interesse e partecipazione alla nuova amministrazione: ma stia certo ogni lettore che, se essa assumerà atteggiamenti non rispondenti agli impegni, non mancheremo di rilevarlo e di far sentire la nostra voce. Non pretendiamo di possedere la verità, ma nemmeno facciamo sconti, a nessuno. (a.g.)

 

Rumore di ruspe? (Gennaio 1995)

 

Ci giungono voci. Non notizie certe nè informazioni dettagliate, solo voci, per adesso, ma tali da suscitare vivissimo allarme. Secondo quel che sentiamo dire, ci sarebbe qualcuno che pensa concretamente di lottizzare, cioè rendere edificabile, la collina della Murata: quella, per intenderci, che sta sopra il distributore della Esso e su cui si affaccia la villa del dr. Merlino (diamo questi riferimenti per identificare la zona interessata). Si parla di un numero imprecisato di ville e villette, forse diecine. Siamo seriamente preoccupati, ci auguriamo che le voci siano infondate e aspettiamo notizie sicure dall'amministrazione comunale. E' bene, comunque, mettere subito le cose in chiaro. A San Vito tutto serve fuorché una nuova colata di cemento, ne abbiamo avute fin troppe, che hanno deturpato la spiaggia, la Marina, buona parte della collina centrale. Contro questo scempio abbiamo combattuto la DC per trent'anni e invano. La Ginestra ha conquistato il comune con un programma che prevede la salvaguardia e la rivalutazione del territorio e dell'ambiente, non certo lo spuntare come funghi di ville è villette a ricoprire le parti più belle e caratteristiche del nostro paesaggio. Quello che serve, a San Vito, sono semmai le prime abitazioni, e vediamo dove farle, non certo le seconde case, che non aiutano il turismo - è dimostrato - e rovinando il territorio tolgono anzi la materia prima dell'attrattiva del nostro paese. Può darsi, non lo escludiamo, che ci siano decisioni e vincoli ereditati dalle precedenti amministrazioni dc. Ma la Ginestra è andata al comune non per attuare le decisioni della DC, per cambiarle. E allora, anche su questa materia, mettiamo le carte sul tavolo davanti a tutti, vediamo quali sono i possibili pericoli, come evitarli, discutiamo sulle scelte di fondo da compiere. Chiediamo al Comune di farci sapere come stanno le cose, per non correre il rischio di essere svegliati una di queste mattine dal rumore delle ruspe che sventrano le colline.

 

A proposito di bestie... (Febbraio 1995)

 

La lepre e il cane

 

C’è sempre la prima volta anche per quei cittadini che non riescono a far fronte a tutti i pagamenti di tasse e tributi comunali. A questi cittadini l’attuale amministrazione comunale ha dedicato una particolare attenzione invitandoli a "pagare... per pagare meno!". Come cambia il tempo! Solo un anno fa questi stessi cittadini venivano convocati nelle sedi opportune per essere convinti che era meglio non pagare "scuolabus, refezione, ICIAP...". Un vecchio detto assicura : "una volta corre la lepre, una volta corre il cane"...

 

Il brano riprodotto è tratto da un foglio clandestino, messo in giro, a quanto pare, dalla minoranza, comunale. Come ogni nostro lettore sa e può verificare (v. il numero scorso di questo giornale) ciò che il Comune ha detto è tutt'altro. Illustrando la legge, e aiutando i cittadini anche nel calcolo delle superfici, l'amministrazione comunale ricordava che pagare i servizi - nel caso, la raccolta rifiuti - è un obbligo sancito da legge nazionale e chi non lo fa si espone a multe ed altro; e faceva presente che, se ciascuno paga il giusto, pagano tutti di meno, perché il Comune non è costretto ad aumentare le tariffe per recuperare le somme evase da qualcuno. In questo senso, pagare tutti per pagare meno. "Proposta democratica" invece, papale papale, invita alcuni a non pagare, tanto ci sono gli altri che lo fanno. Bella roba, e bei galantuomini. Non sarebbe male cominciare un controllo proprio da costoro, per vedere un po' come stanno messi con i pagamenti... Un anno fa, poi (due anni, in realtà) la battaglia fu non "contro le tasse", ma contro gli ingiusti aumenti voluti prima dalla DC e poi dal commissario. E tanto è stata di parola, la Ginestra, che il Comune quest'anno non ha aumentate le tasse di una lira, anzi ha ridotto l'Iciap. Le vostre sono menzogne bell'e buone, cari ragazzetti e ragazzine attempati, non mettete giudizio. O forse è solo che non sapete leggere nè far di conto. Il detto è comunque azzeccato: una volta corre la lepre, una volta corre il cane. Poi tocca ai somari.

 

•••e di bestiole

Pare che il concorrente scottex "Carta Riciclata" di cui parliamo sopra sia stato stampato nei paraggi della sacrestia di don Luigi, nel posto comunemente chiamato "la ciammaichella". Cosicché all'elenco andrebbe aggiunta quest'altra bestiolina. Ora manca solo la gatta. A dir la verità ci pare poco verosimile che, dopo le alte parole del parroco sulla concordia cittadina, quel foglio diffamatore sia stato composto all'ombra della sua tonaca. A meno che... A meno che non valga l'altro detto: Fa quel che il prete dice e non quel che il prete fa.

 

Velare, volere, volare (Febbraio 1995)

 

Con l'estate che comincia a intravvedersi là in fondo, c'è più d'uno che scorge, sconvolto, il ritorno di tende, paraventi e parasoli vari che fecero bella (?) mostra di sé la stagione scorsa alla Marina, e nelle estati precedenti, tramutando quello che è un paese con una già incerta fisionomia in una specie di mercato levantino consacrato all'esposizione di stoffe varie (le tendopoli e i gabbiotti spuntati ad ogni angolo di bar, pizzeria, stabilimento e quant' altro, pur in mezzo alle strade) e al rifugio per sagre di improbabile paternità e discutibile tradizione. Ne rammentiamo una, di queste ultime, annunciata come "sagra" non ricordiamo più di quale alimento, forse cocomeri, piazzata sotto una cannizzata al bivio, dove solitamente sta il cassonetto dei rifiuti, e un onest'uomo con prole al seguito che tentava di smerciare in siffatto modo la sua mercanzia ai passanti. Si riuscirà ad evitare, la prossima (nel senso di vicina) stagione, la saga delle sagre e la mostra di panni e tende da sole e da vento? O quantomeno, a dare loro un ordine e un significato? Assodato che nessuno è contrario all'intrapresa privata e al legittimo desiderio di far soldi, è pur vero che c'è una misura nelle cose e che a volte si tratta di impedire che la gente si faccia del male da se stessa. Perché non crediamo proprio che conferire nei mesi estivi alla Marina quel!' aspetto di precario sukh arabo e di casbah venuta male sia proprio l'ideale per l'immagine turistica del nostro paese. E' forse il caso di porsi una domanda: se per forza si vuole continuare sulla linea "tende e sagre", vogliamo vedere almeno di conferire loro una dignità e una identità? Un qualcosa che faccia dire: ecco, San Vito è il paese delle tende verdi, o bianche, o a pois, a forma di vela di paranza o di ala di gallina. E le sagre hanno questa e quella specificità - nei contenuti, nell'organizzazione, nella forma, per il luogo - che le differenzia dalle altre e le giustifica. E questo va fatto evitando improvvisazioni e dilettantismo, come avvenuto finora, altrimenti si disorienta il consumatore e lo si allontana. Se entro in un negozio di abbigliamento per adulti, voglio trovarci innanzitutto dei vestiti - come in ogni altro esercizio simile - e in più qualcosa che gli altri non hanno e che mi fa preferire proprio quel negozio (qualche capo particolare, prezzi vantaggiosi, un servizio migliore) Lo stesso deve accadere se entro in un negozio per l'infanzia. Ma se invece, varcata la soglia, trovo solo confusione, un visone e scarpe da ginnastica, frac e tute d lavoro, cravatte e pagliaccetti per l'infanzia, non ci capisco più niente e chiamo la neuro o cambio negozio. Ordine, estetica, servizio e qualità nell'offerta, ecco cosa serve. Vogliamo rimettere tende e velare il sole? D'accordo, ma allora si tratta anche di voler fare qualcosa di diverso e di volar un po' con la fantasia, l'immaginazione e il buon gusto. Non manca molto, all'estate ed è il caso di pensarci.