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La vazzije
Carmelita ne
possiede due che appartenevano a sua nonna, bellissime in ceramica di Rapino corredate da due boccali a
riporto; stesso fondo color pervinca, stessi fioracci.
Gli orli sbreccati esaltano la loro patina di arcaica eleganza.
Ma io ne ricordo altre di fattura più rustica in terracotta smaltata all'interno in
verde a macchia di leopardo.
Diversa per forma da “lu
scattone” e da “la spase” (più capace della “spase”, ma
slargata in cima) “la vazzije” poteva assolvere alle funzioni dell'uno e
dell'altra a seconda delle circostanze e delle necessità.
Vi
si scodellavano cibi solidi o poco brodosi (ad esempio “sagne” e “sagnette”) e aveva diverse
misure.
Chi le regalava alla sposa “p’aprì’ la case” teneva presente la lista di nozze del tempo per
evitare doppioni.
“Se n'a magnate 'na
vazzije” si diceva per sottolineare l'appetito pantagruelico
di un commensale, mentre “te’
la vocche gne na
vazzije” fissava spregiativamente l'immagine di una bocca
larga in una cultura che esaltava le “vuccucce”.
“Vazzìje” e il suo diminutivo “vazzijóle” derivano dal latino “Vatiola"
(specie di coppa, anche in metallo
prezioso), passando per lo spagnolo
“batía” (pron.
vatía).