Modesto Della Porta

   Modesto Della Porta (1885-1938) è nato a Guardiagrele ma è vissuto a lungo a Roma dove ha svolto il mestiere di sarto. L'autore di "Ta-pù" (Carabba ed., 1933) è certamente il poeta dialettale più amato dagli abruzzesi se non il più famoso.

   Scrive di Lui, in una delle ultime ristampe della decima edizione, Francescopaolo Giancristofaro: "Modesto Della Porta è il poeta del dolore". Chiunque abbia approfondito la lettura del Nostro non può non concordare. Persino le poesie più spassose se non comiche, per es. "La cocce dì San Dunate", rivelano, ad un più attento esame, una sofferenza propria dell'autore e della sua gente in termini universali.

   Esempio illuminante di quanto sopra affermato è la poesia qui riportata. Pare che il riso, predominante ad un primo sguardo, via via si trasformi sempre più in sofferenza fino a diventare insopportabile dolore fisico e morale negli ultimi due versi che scavano dentro l'animo dell'umano facendo riaffiorare tutto il retaggio nascosto di secoli e secoli di storia.

   Da sottolineare come questo dolore non è urlato ma sommesso, non è violento ma quasi timoroso, ed il risultato (il danno?) è di gran lunga superiore. Esso ci scioglie. Infatti, ci porta al mare immenso del dolore universale. Der Weltschmerz. E siamo terra e siamo cielo, e siamo acqua e siamo fuoco, e siamo niente e siamo immortali... Grandioso! E pensare che Modesto era un sarto di paese...

   A volte bastano pochi versi a qualificare un poeta. Essi si ripetono automaticamente nella nostra mente ("ugne suffiate è nu suspire \ ugne mutive è nu lamente") finché non li facciamo nostri, finché non penetriamo l'animo stesso del poeta e con lui diventiamo un tutt'uno ("tu che mi cunusce e nen ti sbèje").

   In "Serenata a mamma" c'è tutta la grandezza e la tristezza, la fragilità e la felicità, non solo di Modesto Della Porta, ma di ogni essere umano. C'è in questa poesia la consapevolezza dell'autore, e dell'uomo, della necessità di una infinita comprensione, di un cuore immenso e buono che solo la mamma, o chi ti conosce (forse Dio?), può avere.

Antonio Fantini, Gennaio 1997