Concezio Talone
Ne avevo sentito parlare e, francamente, mi dava fastidio. Mi dava fastidio non il fatto che ci fosse un poeta in più in questa ricca terra d'Abruzzo, ma perché si alludeva al fatto che Concezio Telone fosse un contadino.
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: lui non ha mai pensato lontanamente di dover essere preso in considerazione per il lavoro che svolge ma unicamente per la poesia che produce; i critici scrittori, forse surrettiziamente, per ridurlo a comparsa o stella cadente, gli hanno rifilato questo marchio.
Ho grande rispetto per i contadini, un po' meno per i poeti che si proclamano tali per autocelebrazione. Mi da fastidio che da qualche decennio in Abruzzo si parli molto di poeti e poco di poesia. E il protagonismo di certe personalità soffoca, o per lo meno rende più difficile, la vera poesia.
Ho conosciuto Concezio Talone e m'è sembrato una persona semplice e sincera che trova piacere nello scrivere versi e si sente gratificato nell'essere ascoltato. L'entusiasmo che lo spinge ad aprirsi è disarmante. Credo che nei quattro anni di prigionia in Albania (1941-45) abbia sviluppato una filosofia di vita i cui capisaldi sono eterni e universali.
Ho pure letto con attenzione il suo primo libro "Licce e ndricce" (Casa ed. Tinari - Bucchianico, 1996) e mi pare che il mondo contadino, nella sua pur solida presenza, sia solo un espediente per arrivare a simboli poetici drammatici (la crudeltà del tempo, la purezza dell'infanzia, la disintegrazione della famiglia, ecc...). La sua poesia è fresca e semplice, ma non semplicistica, godibile come una bevuta d'acqua di montagna.
Talone è un poeta perché ha qualcosa da dire e non perché fa il contadino a Selva di Altino. Il suo lavoro, dignitoso come tanti altri, non deve essere un vantaggio e, soprattutto, ciò che mi preme sottolineare, un fattore discriminante per i soliti dèi dell'olimpo. Tutti possono essere poeti, l'importante è che si faccia poesia.
Antonio Fantini - Luglio 1997